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"Turni anche di 36 ore consecutive: non siamo eroi, la tuta nasconde le nostre lacrime"

La testimonianza a Parmatoday di Younes Simon, medico di emergenza territoriale del Distretto di Fidenza

Younes Simon è medico di emergenza territoriale del Distretto di Fidenza. Dall'inizio dell'emergenza Covid-19 lavora senza sosta, giorno e notte a bordo delle automediche con turni massacranti, a stretto contatto con i pazienti contagiati. Va nelle case dei pazienti sospetti, garantisce non solo il supporto medico ma anche una vicinanza concreta: parla con i parenti, cerca di creare un contatto con i familiari che non possono seguire i lori cari in ambulanza e in ospedale. 

Come si svolgeva il suo lavoro da medico prima dell'emergenza coronavirus? 

"Sono un medico di emergenza territoriale (Met) nel distretto di Fidenza, che comprende tre sedi - l'ospedale di Vaio, la sede della Croce Rossa di San Secondo e l'ospedale Santa Maria di Borgotaro. In condizioni ordinarie mi occupo di attività principalmente territoriale, di codici di varie intensità inviati dalla centrale operativa, ed di un supporto alle attività d Pronto soccorso per i codici di minor intensità in modo da avere la prontezza di uscire sul territorio una volta chiamati.

Il nostro intervento diventa di assoluta importanza nelle problematiche tempo-dipendenti come l'infarto cardiaco, l'ictus, l'arresto cardiocircolatorio ed i traumi, dove ogni minuto è prezioso e l'intervento medico avanzato con supporto avanzato delle vie aeree dalla ventilazione all'intubazione o nel caso estremo alla tracheostomia di urgenza con la contemporanea somministrazione di farmaci salvavita di vario tipo, di antidoti per intossicazioni,di sintomatici o di controllo del dolore, atti a stabilizzare il paziente, fanno guadagnare tempo al pronto soccorso, rendendo l'intervento ospedaliero in molti casi meno urgente e sopratutto migliorando l'outcome dei pazienti alla fuoriuscita dall'ospedale. Per esempio meno danno cardiaco, meno conseguenze neurologiche o disabilità e piu possibilità di sopravvivenza".

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Cos'è cambiato con la diffusione dell'emergenza Covid-19? 

"Con l'emergenza coronavirus abbattuta sul mondo e sull'Italia in particolare la macro-area infettiva ha preso il sopravvento tra i vari codici di attivazioni e di presenza in pronto soccorso per vari motivi. La moltiplicità dei quadri di presentazione della patologia dal quadro più tipico dell'insufficienza respiratoria acuta, alle sincopi, la diarrea e le crisi iperglicemiche. In tale situazione di emergenza il nostro lavoro territoriale è divenuto di assoluta importanza, in quanto siamo in prima linea di contatto ad affrontarla già sul territorio, sia per le automediche del nostro distretto, sia per le rimenenti automediche del territorio parmense (Parma, Langhirano, Traversetolo, Colorno, Lagrimone, Fornovo) con le varie ambulanze infermierische di supporto con un lavoro straordinario e moltiplicato sia per i professionisti che per i volontari ed i soccorritori delle varie associazioni. Andiamo a pescare i pazienti uno ad uno quando sono ancora nelle loro case, attuando le prime mosse necessarie affinchè si riduca la possibilità di contagio e di contaminazione. Sono necessari un forte impegno fisico e mentale e concentrazione estrema ad ogni passo, perché ogni azione ed ogni tipo di scelta conta per il dopo".

Ci potrebbe raccontare una sua giornata di lavoro durante l'emergenza coronavirus?

"Il nostro lavoro è suddiviso spesso in turni da 12 ore ma spesso e volentieri, durante questa emergenza. arrivavamo a lavorare per 16, 18 o 20 ore consecutive: sia perche gia ti trovi sul territorio sia per il rientro in sede per la lunga distanza. Questo accade sopratutto da quando l'Ospedale di Vaio e quello di Borgotaro sono stati chiusi all'attività ordinaria. In altri casi perchè alcuni colleghi purtroppo si sono ammalati e contagiati improvvisamente o contemporaneamente e di seguito abbiamo dovuto coprire i loro turni anche di 24 o 36 ore consecutive per sopperire a tale assenza improvvisa". 

Per la vestizione e la svestizione seguite rigide norme 

"Si, seguiamo protocolli previsi per la vestizione o il 'bardamento' come lo chiamano in gergo. Abbiamo una tuta impermeabile, calzari, doppi o tripli guanti, il copricapo, la mascherina filtrante, gli occhiali a tenuta o la visiera protettiva. È una vestizione fastidiosa ma assolutamente necessaria per proteggerci e ridurre al minimo la possibilità di contagio, la sua importanza si vede proprio dove è mancata tale possibilità ad esempio tra i medici di medicina generale. In quel contesto è stato un alto numero di contagiati, ricoverati e purtroppo anche tanti venuti a mancare proprio per quello. Dopo 30 minuti dalla vestizione cominci a sentirti il calore ed il sudore malgrado le relative basse temperature fuori, il prurito, il fastidio nei punti di decubito della mascherina e dei occhiali a tenuta contro la faccia che si annebbiano e lasciano il segno, la nausea, il mal di testa, le limitazioni dei movimenti. E' quasi uno scenario da film. E noi da questo punto di vista siamo ancora fortunati in quanto a fine di ogni servizio ci liberiamo da tutto tutti i dispositivi che portiamo mentre altre figure, per esempio, gli anestesisti, gli infermieri dei reparti covid ed i medici nel Pronto Soccorso li tengono da inizio a fine turno con ovvi limitazioni anche per i piu semplici bisogni fisiologici".

Quali sono le cure che prestate a casa e durante il trasporto?

"All'arrivo a casa dei pazienti fortemente sospetti, valutiamo l'aspetto generale, lo stato di vigilanza  - quando possibile - i parametri vitali, le condizioni di base, i farmaci che assumono e cerchiamo - in collaborazione con i soccorritori delle varie ambulanze - di ridurre quando possibile la nostra presenza nella casa dei pazienti, considerati luoghi altamente contaminati. In ambulanza forniamo eventualmente il supporto medico avanzato citato prima in base alle condizioni del pazienti in modo da evitare il collasso e la precipitazione delle condizioni generali".

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Immagino che sarà difficile anche il rapporto con i familiari che non possono seguire vedere i loro cari in Ospedale, come si comporta con loro? 

In condizioni ordinarie molto spesso un famigliare seguiva l'ambulanza alla destinazione ospedaliera per fornire documentazione clinica aggiuntiva, essere presente come supporto fisico e psicologico per il malato, essere un riferimento per i sanitari in ospedale. Nell'emergenza attuale tutto ciò non è possibile. I pazienti dal momento dell'uscita di casa vengono portati soli per evitare ulteriore contaminazione e contagio, per cui il nostro supporto psicologico e la nostra vicinanza al paziente durante il trasporto diventa l'unico presente. Cerchiamo di lasciare in qualche modo una connessione tra il paziente ed i suoi famigliari. Chiediamo a loro un bigliettino con un paio di numeri di telefono, un telefono e il carica batteria, e forniamo al famigliare le indicazioni per poter aver traccia del suo parente nel ospedale. È un aspetto di forte impatto emotivo.

Probabilmente alcune delle persone che ha soccorso poi, non ce l'hanno fatta. Come vive questi momenti? 

"Si, mi è capito purtroppo che questi piccoli atti siano stati gli ultimi saluti tra il paziente ed i suoi famigliari. Ho assistito a queste scene - tra lacrime, abbracci, stretta di mano e le promesse che sarebbe rientrati a domicilio dopo una breve tratta in ospedale - e poi ho scoperto che quei pazienti non ce l'avevano fatta, che erano deceduti pochi giorni dopo il ricovero. Donne e uomini che potevano essere nonni, padri, madri, figli, amici, che senza il coronavirus sarebbero sopravvissuti" 

Questa situazione ti demoralizza, ti viene da piangere, ti senti impotente di fronte ad un nemico invisibile, ma devastante ti rendi conto della nostra vulnerabilità. Dentro la tuta sembriamo invincibili, sembriamo alieni o salvatori del mondo, gli eroi come ci chiamano. Ma in realtà questa tuta nasconde solo le nostre paure e le nostre lacrime perchè siamo umani  e cerchiamo di dimostrare forza, ma non ci si abitua mai alla morte ed alla sofferenza. Non abbiamo tempo per allentare le nostre forze e per avere paura: dobbiamo dare il massimo e continuare la nostra lotta. Sono certo che, alla fine dell'emergenza, il mondo non sarà più lo stesso. La vita continua e deve continuare: questa emergenza ci servirà per capire il valore di certe cose, della vita e dell'aria che respiriamo, ci sta facendo riflettere sulle nostre azioni e sul nostro rapporto con la natura e l'ambiente circostante e l'importanza del nostro impatto sulla terra". 

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