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Cronaca

Università, a Parma la ricerca in Chimica e Fisica è da Nobel

I Premi Nobel per la Fisica e la Chimica 2014 assegnati per ricerche nelle quali sono attivi anche docenti dell'Università di Parma: una conferma dell'attualità della ricerca scientifica in Ateneo

A Parma la ricerca è “da Nobel”. I Premi Nobel per la Chimica e la Fisica 2014, dei quali l’Accademia Reale Svedese delle Scienze ha recentemente reso noti vincitori e motivazioni, sono stati assegnati per ricerche nelle quali sono attivi anche docenti dell’Università di Parma: un’ulteriore conferma dell’attualità della ricerca scientifica in Ateneo.
 
Vincitori del Nobel per la Fisica sono Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura, per i loro fondamentali contributi allo sviluppo dei semiconduttori nitruri. Questi semiconduttori (Nitruro di Gallio, GaN, e relative leghe ternarie con Alluminio e Indio) possono assorbire ed emettere luce variabile fra infrarosso e ultravioletto, il che apre le porte a innumerevoli applicazioni. Sono due tuttavia quelle che hanno decretato il grande successo di questa nuova generazione di semiconduttori: la realizzazione dei LED bianchi e la realizzazione del laser blu. I LED bianchi costituiscono una sorgente di luce a grande risparmio di energia e trovano oggi impiego negli schermi di telefoni cellulari, computer, TV nonché come lampade per illuminazione domestica, autoveicoli ecc. I primi laser blu a nitruri sono stati realizzati alla fine degli anni ’90 e in breve hanno raggiunto potenze ed affidabilità sufficienti a lanciare la tecnologia Blue-Ray Disc con la quale si possono archiviare 25 GByte su supporti identici a quelli dei CD (700 MByte) e DVD (4.7 GByte).
 
Alla fine degli anni Ottanta Akasaki e Amano riuscirono a depositare uno strato sottile di GaN di alta qualità su un substrato di zaffiro (α-Al2O3) utilizzando la tecnica di epitassia da fase vapore (MOVPE) e realizzando un processo multi-step che includeva la deposizione di uno strato buffer iniziale a bassa temperatura seguito dalla deposizione dello strato principale a temperature > 1000 °C. All’inizio degli anni Novanta riuscirono a ottenere conducibilità di tipo p drogando con Magnesio e attivando il drogante mediante irraggiamento di elettroni. A questo punto entra in gioco il contributo determinante di Nakamura che, dapprima riuscì ad avere lo stesso grado di attivazione del Magnesio con un processo termico (quindi compatibile con la processatura standard di semiconduttori), e in seguito riuscì ad abbattere drasticamente la densità di difetti cristallografici sfruttando il meccanismo di crescita laterale degli strati di GaN.
 
Anche a Parma nel periodo 1996-2003 un gruppo di ricerca è stato attivo nel campo dei Nitruri. Il gruppo, coordinato dal prof. Roberto Fornari, ora in forza al Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra ma a quei tempi ancora in servizio all’Istituto IMEM-CNR, comprendeva ricercatori sia del CNR sia dell’allora Dipartimento di Fisica dell’Università di Parma. Fu un periodo proficuo che portò a notevoli traguardi tecnologici e nuove conoscenze sulle proprietà fisiche dei Nitruri. Diversi laureandi e un dottorando ebbero modo di svolgere le loro tesi su questa tematica di grande attualità. Dopo una decennale parentesi come direttore di un istituto di ricerca a Berlino, dove peraltro ha continuato le ricerche sui Nitruri, Fornari è da poco passato al Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, dove ha lanciato un’attività di ricerca su una nuova generazione di semiconduttori. Si tratta di ossidi di Gallio, Indio e Alluminio con caratteristiche fisiche abbastanza simili a quelle dei Nitruri, ma che potrebbero presentare vantaggi se applicati nell’elettronica di potenza. Un tema sempre caldo se si pensa al risparmio energetico. Come negli anni Novanta, anche stavolta la ricerca è svolta in stretta cooperazione con l’Istituto IMEM-CNR.  
 
Vincitori del Premio Nobel per la Chimica 2014 sono invece Eric Betzig, Stefan W. Hell e William E. Moerner, per essere riusciti a far superare ai microscopi ottici quella che era considerata la loro limitazione intrinseca, ovvero l’impossibilità di raccogliere immagini con una risoluzione migliore di circa 200 nanometri (1 nanometro = 1 miliardesimo di metro).
 
A lungo, infatti, si è ritenuto che questa limitazione fisica fosse dettata, tra gli altri fattori, dalla lunghezza d’onda della luce utilizzata, secondo la legge proposta da Ernst Abbe nel 1873. A causa di tale legge fisica, per tutto il secolo scorso gli scienziati non sono riusciti a visualizzare oggetti di dimensioni inferiori a metà lunghezza d’onda della luce utilizzata (circa 200 nanometri), non potendo quindi accedere all’osservazione diretta degli organi interni alle cellule né tantomeno delle singole strutture macromolecolari rilevanti per i processi biologici.
Percorrendo due strade diverse e indipendenti, i vincitori del Premio Nobel per la Chimica 2014 hanno superato i vincoli imposti dalla legge di Abbe e oggi, in teoria, non esistono più limitazioni di principio alle dimensioni degli oggetti molecolari che si possono visualizzare. La microscopia è così divenuta nanoscopia.
 
La metodologia proposta da Stefan W. Hell nel 1994 sfrutta il processo di emissione stimolata e consente di ottenere un fascio laser di dimensioni efficaci dell’ordine dei nanometri che permette di osservare l’emissione di fluorescenza proveniente da oggetti di dimensioni confrontabili ad esso. La microscopia così ottenuta è stata definita microscopia STED (acronimo di STimulated Emission Depletion) e ha ricevuto la prima dimostrazione sperimentale nel 2000.
 
Alla base della seconda metodologia sta invece la scoperta di W.E. Moerner che nel 1997 fu in grado di rivelare la posizione di singole molecole fluorescenti: un avanzamento tecnologico impressionante, considerato il fatto che fino ad allora gli studi venivano condotti normalmente su insiemi di milioni di molecole. A consentire questo esperimento fu lo sviluppo, da parte del premio Nobel per la Chimica 2008 R.Y. Tsien, di una proteina fluorescente derivata dalla Green Fluorescent Protein, in grado di passare reversibilmente da uno stato fluorescente a uno non fluorescente mediante illuminazione con luce di diversa lunghezza d’onda. Alcuni anni dopo, nel 2005, E. Betzig dimostra come sia possibile utilizzare questa proprietà per ricostruire immagini con una risoluzione superiore a quella imposta dalla legge di Abbe, dando così il via alla microscopia di singola molecola.
 
Anche l’Università di Parma è attiva nello sviluppo e nell’applicazione di queste metodologie allo studio di sistemi biologici. I proff. Cristiano Viappiani e Aba Losi del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra e Stefania Abbruzzetti del Dipartimento di Bioscienze collaborano ormai da diversi anni con il prof. Alberto Diaspro, Direttore del Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che lavora su entrambi i metodi elaborati dai Premi Nobel. La collaborazione vede coinvolti anche l’Istituto di Nanoscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (NEST), la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Istituto Max Planck per la Conversione Chimica dell’Energia di Mülheim a. d. Ruhr (Germania). Frutto della collaborazione è lo sviluppo di nuove proteine fluorescenti che hanno permesso di ottenere immagini con elevata risoluzione di batteri e di cellule eucariotiche.
 

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