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Cronaca

HIV, scoperta a Parma l'impronta genetica del virus dell'Aids

La scoperta si deve a un gruppo di ricercatori guidati da Claudio Casoli, del Centro di Ricerca e Diagnostica Molecolare Gemiblab di Parma, e da Andrea Cossarizza, dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

E’ come un marchio, un avviso che dice “sono passato di qui”. E’ ciò che hanno scoperto un gruppo di ricercatori italiani sul funzionamento del virus dell’HIV, quello responsabile dell’epidemia di AIDS. Si tratterebbe di un modo che il virus ha di lasciare il segno sugli organismi che sono venuti in contatto con lui, anche se non sono infetti. Vien da sé che comprendendo un tassello in più del modo di “comportarsi” del virus, si possono aprire nuove strade per la terapia.

La scoperta si deve a un gruppo di ricercatori guidati da Claudio Casoli, del Centro di Ricerca e Diagnostica Molecolare Gemiblab di Parma, e da Andrea Cossarizza, dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Secondo la loro teoria basterebbe un contatto anche minimo, come ad esempio un rapporto sessuale tra una persona sieropositiva ed una sana, per “marchiare” le cellule del sangue della persona sana, anche se l’infezione non avviene.
In particolare l’HIV è in grado di marchiare il micro-RNA, o miRNA, piccole molecole fortemente limitate all’interno del nostro corpo (sono circa un migliaio, l’1% circa del nostro patrimonio genetico), le quali reagiscono producendo una risposta immunitaria che può anche essere diversa a seconda dei casi. Da qui i ricercatori sono riusciti a simulare come avviene il contagio, scoprendone così dei meccanismi che fino a questo momento erano rimasti ignoti, in particolare nel modo in cui il virus reagisce alla risposta immunitaria.

Ciò che è importante ora per la scienza è che, capito questo meccanismo, si possono studiare eventuali vaccini che sfruttino questa scoperta per contrastare il virus una volta venuto in contatto con una nuova “vittima”, e magari scoprire per tempo le persone a rischio che sono state “marchiate” ma che ancora non hanno sviluppato l’infezione.
 

 

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