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Il Gabbiano tra tradizione e innovazione con il segreto della pizza tirata

Da lavapiatti al gattopardo, a Pizzaiolo del Parma di Scala, la storia di Enzo De Santis e del suo ristorante: "Passione e qualità degli alimenti, curo tutto in prima persona"

“Mi trovavo ad Acquafredda di Marate. Lì il mare diventa tutt’uno con il cielo, è difficile distinguere l’orizzonte, in due momenti: all’alba e alla mattina, quando la spiaggia è quasi vuota e sullo sfondo campeggia quest’hotel Gabbiano che mi è rimasto nel cuore. ‘Se un giorno avrò la fortuna di aprire un ristorante, lo chiamerò così’ dicevo…” .

Enzo De Santis lo aveva promesso a sé stesso prima di tutti. Lo aveva promesso alla dedizione e all’amore che ha verso il suo lavoro, alla professionalità che poi ha acquisito strada facendo, che lo ha portato a Parma quasi 30 anni fa. Adesso gestisce Il Gabbiano di Via Morigi. Forse non se lo sarebbe mai immaginato di diventare una sorta di istituzione, sicuramente un innovatore della pizza, lui che è cresciuto con la tradizione in testa e che si è messo a disposizione dei mutamenti per farsi trovare pronto anche nella sperimentazione dei gusti. E nello studio di una ricetta che lo ha reso celebre a Parma, per la quale vanno pazzi tutti. “Il primo ad assaggiare la pizza tirata – spiega Enzo a Parmatoday.it – è stato Gianfranco Zola. Che responsabilità, se ci penso ora sorrido perché lui, venendo da Napoli, era abituato alla pizza buona, quella di qualità. Mi ricordo che mentre lavoravo la pasta pensavo a tante cose. ‘Va beh, al massimo la rifaccio’ dicevo tra me e me, ma quella pizza è piaciuta talmente tanto a Gianfranco che alla fine è venuto da me e mi ha detto: ‘Complimenti, fantastica’. E io ho tirato un sospiro di sollievo. Aveva preso una Margherita speciale, su un tagliere di legno”.

La pizza tirata è di Enzo, e ci spiega perché lui senta così tanto sua questa innovazione. Il pioniere della pasta allungata, lavorata a mano, senza mattarello, sperimentata a cavallo tra 1993-1994 è lui: “E’ un’evoluzione della pizza a metro, servita sui taglieri in legno. Non mi piaceva, volevo inventare qualcosa che stesse nel piatto – racconta Enzo – e dovevamo trovare pure il piatto (ride ndc), oltre che il giusto equilibrio. Perché la nostra pizza tirata è sempre fatta con una pallina di pasta di 215 grammi. Lavorata a mano, stesa sulla farina e ‘allungata’ con cautela, senza mattarello, non si raffredda prima e anche se resta impiattata per un po’, conserva la fragranza. Viene servita in questi vassoi rotondi, lavati a osmosi, in modo tale da avere un aspetto invitante, rassicurante e di igiene totale. Ci ho messo un po’ a trovarli, ma alla fine, oltre che a completare il servizio, danno un aspetto ottimo alla portata e alla pizza. Il segreto? Non ve lo dico, ma posso dire che la farina speciale del mulino Figna di Collecchio rende tutto più buono. E poi il lievito è poco, resta leggera”.

Come la Primavera e la Parmacotto, invenzioni ab ovo del pizzaiolo che, come un demiurgo, ha plasmato le sue idee fissandole nella pasta della pizza: “Era il ’96 quando mi balenava in testa l’idea di far coesistere mozzarella di bufala e scamorza. Dovevamo trovare il giusto equilibrio, e a quella pizza abbiamo lavorato circa un mese e mezzo. Primavera viene dal periodo in cui abbiamo trovato il giusto mix, e l’abbiamo messa su carta.  Origano, pomodorini freschi, basilico e parmigiano, che primeggia per qualità nelle pizze speciali. Un tocco in più senza andare ad appesantire il sapore della pizza condita con mozzarella di bufala e scamorza. Il tutto con un filo d’olio che non guasta e dà gusto”. Così nasceva la Primavera de il Gabbiano, una pizza che piace anche ad Alessandra Mussolini, “di gusti napoletani. Quando l’ha mangiata, si è alzata dal tavolo e si è complimentata con me – spiega Enzo – soddisfatta ha lasciato il locale e mi ha fatto tanti complimenti”.  

Al 25esimo anno di attività, il Gabbiano non è ancora sazio di sperimentazioni e innovazioni. Soprattutto per quanto riguarda la pizza, alla quale Enzo ha iniziato a lavorare dagli anni ’90, periodo in cui la sua storia (e quella del suo ristorante), si intreccia fatalmente a quella del Parma di Scala, quello vecchio, glorioso ed europeo, non quello di adesso. “I giocatori andavano matti per la pizza – racconta Enzo con un pizzico di orgoglio – perché venivano spesso in via dei Mille, dove eravamo prima e ogni trofeo vinto da quella squadra, passava inesorabilmente da qui. Veniva festeggiato nel nostro ristorante. Che ricordi”. Passione e lavoro per una storia che va avanti da anni, grazie anche alla qualità curata nei minimi particolari: “Materie prime scelte e selezionate da me – racconta Enzo – seguo tutto, dalla selezione al taglio dei salumi. Dal Parmigiano al prosciutto crudo che va dai 22 ai 30 mesi di stagionatura. Dalle acciughe Rizzoli, alle mozzarelle di bufala che arrivano due volte a settimana da Napoli, fino all’olio extravergine di oliva, delle zone di San Mauro Forte in Basilicata”. Perché i prodotti autoctoni, secondo Enzo, fanno la differenza. E danno sapore a tutti i piatti. “Io tengo molto alla scelta e alla cura dei materiali. A Parma ho imparato tanto, ho cominciato come lavapiatti al Gattopardo, dalla Basilicata sono arrivato qui con tanta voglia di imparare e apprendere, migliorare grazie anche al contatto con i professionisti del settore”. Enzo ha imparato e adesso custodisce gelosamente il suo talento messo a disposizione di parmigiani e non che invadono Il Gabbiano. Da dietro il banco, dove lavora la pasta, butta un occhio a tutto il locale, senza dimenticare quell’orizzonte che si unisce con il mare, in Basilicata. La terra che porta sempre con sé.

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