IFIGENIA, LIBERATA al Teatro Due
IFIGENIA, LIBERATA TEATRO DUE 11 e 12 APRILE ore 20.30
ispirato ai testi di Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari
progetto e drammaturgia Angela Demattè eCarmelo Rifici?
con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio, Giovanni Crippa, Zeno Gabaglio, Vincenzo Giordano, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Francesca Porrini, Edoardo Ribatto, Giorgia Senesi, Anahì Traversi?
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
costumi realizzati dalla Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
maschere Roberto Mestroni
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Jean-Luc Chanonat
progetto visivo Dimitrios Statiris
regista assistente Agostino Riola
assistenti alla regia Emiliano Masala e Francesco Leschiera
assistente scenografa Francesca Greco
assistente costumista e sarta di scena Giulia-Claudia Gambi
in video Maximilian Montorfano, Jacopo Montorfano e Agnese Chiodi?
regia Carmelo Rifici
produzione LuganoInScena? in coproduzione conLAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e Azimut?in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, Theater Chur? con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura
“Il razionalismo occidentale agisce al pari di un mito: ci ostiniamo a non voler vedere la catastrofe, non possiamo né vogliamo riconoscere la violenza per quello che è.” (R. Girard)
“Ifigenia, liberata” è solo l’inizio dell’indagine che Rifici propone allo spettatore, chiamando Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, René Girard, Antico e Nuovo Testamento a fornire storie e riflessioni sulla vera protagonista del lavoro: la violenza dell’uomo come realtà inestirpabile e mistero senza fine.
Lo spettacolo nasce dall’esigenza di indagare, ancora una volta, come un leitmotiv dei miei ultimi lavori, l’uso della violenza, sia a livello macroscopico sia nel microcosmo familiare.
Ciò che mi inquieta fortemente è questa ineliminabile caratteristica dell’essere umano di distruggere, di chiudere. Nella sua continua evoluzione tecnologica e scientifica la nostra specie non ha mai fatto a meno delle guerre, del sangue, della sopraffazione.
Perché? Ancora oggi gli uomini cedono alla violenza, non trovano altro modo per combatterla se non usandola a loro volta, sempre in nome di un padre da vendicare, di un territorio da difendere, di un Dio da obbedire. E mentre il mondo è sempre più occupato a prendersi cura delle proprie vittime, le vittime non cessano di diminuire. Ifigenia, liberata tenterà di svelare l’annosa questione della nostra natura violenta.
In una sala prove (ma potrebbe essere anche un altro luogo di incontro, una biblioteca, un salone, certamente un luogo di pensiero) attori e pubblico insieme ad un regista e una drammaturga riprendono il Mito degli Atridi, partendo dal testo del tragediografo greco Euripide, Ifigenia in Aulide.
In realtà è solo un pretesto di partenza necessario alla drammaturga per portare alla luce l’intuizione segreta di Euripide: l’eroe greco non è colpevole, colpevole è la folla che ha bisogno di un colpevole.
Schiacciata dal volere paterno, contagiata dalla follia della folla, Ifigenia sembra non poter uscire da un destino senza speranza in cui solo il sangue di un innocente può placare la violenza del popolo.
Ifigenia, come Arianna che muore a causa di Teseo dopo averlo aiutato, come lo stesso Dioniso, Dio-bambino sacrificato ai Titani, ma anche come Isacco dell’Antico testamento, si trovano nella costrizione di dover dare la propria vita per gli altri, per un bene che appare supremo. Lo spettacolo cerca, nella scena di Margherita Palli, di ricostruire uno spazio della condivisione. Sul modello del simposio platonico, attori, tecnici e spettatori si ritrovano a discutere sul sacrificio, portando differenti teorie, tentativi di analisi.
A capo di questo convivio un regista e una drammaturga danno al pubblico degli strumenti di approfondimento, spesso delle spiegazioni mai didascaliche ma utili a ricreare un ponte tra palcoscenico e platea, una grammatica comune, codici di comprensione.
Lo spettacolo non ha la pretesa di dare risposte, ma nello stesso tempo non può sottrarsi dal dire che la specie umana si è trovata più volte nella situazione di poter “afferrare” la propria libertà, grazie alle leggi di Atena, alle parole dei filosofi, Platone ed Eraclito in primis, al libero arbitrio portato dal Cristo.
Eppure l’uomo continua a sfuggire la sua libertà, il suo dovere di giustizia. Ancora oggi le parole di Platone risuonano alte e sinistre alle nostre orecchie: “quanto è più facile l’ingiustizia”. Giustizia è debolezza, il giusto è il debole. Chi vuole esserlo in un mondo costruito sulla forza?
Eppure c’è una parola che potrebbe fermare l’ingranaggio infernale, una parola capace di smascherare l’inganno, è la parola compassione, ma è troppo scomoda da pronunciare, troppo pericolosa per l’antico desiderio dell’uomo di sopraffare, di desiderare continuamente la roba dell’altro.