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il bacino di armorano è davvero la soluzione per difendere colorno?

Secondo Amo Colorno non è l'alternativa alla cassa sul Baganza.

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ParmaToday

Si fa un gran parlare del bacino di Armorano. In molti ritengono che possa essere la soluzione migliore per difendere i territori dalle alluvioni, e che possa funzionare meglio della cassa di espansione sul Baganza, in procinto di essere costruita. Se la cassa di espansione sul Baganza è insufficiente a difendere Colorno e in parte anche Parma, inquanto ad esempio non consente il rimpinguamento delle falde e risulta essere non troppo sicura (essendo costruita con un muro di circa 20 metri d’altezza che dovrebbe trattenere l’acqua), è doveroso puntualizzare che il bacino di Armorano, dista da Colorno ad oltre 50 km e la sua funzione principale è quella di fare scorta di acqua e di servire anche per la produzione di energia. Queste due funzioni svolte dal bacino di Armorano non sono trascurabili, e ritengo che possa essere assolutamente vantaggioso vederne la realizzazione, a patto che il luogo atto alla sua edificazione lo consenta. Non si può tuttavia equiparare il bacino di Armorano ad un presidio idraulico atto a salvaguardare i territori dalle alluvioni e sono certo che a stento riuscirà ad arrivare a proteggere Sala Baganza. Colorno di certo rimarrà fuori dal perimetro di protezione, e non è assolutamente accettabile utilizzare tanto denaro per lasciare senza una seria difesa idraulica il paese di Maria Luigia. Un paese in cui da tempo immemore troneggia la famosa e bella reggia di Colorno, soprannominata la piccola Versailles. Un paese di grande importanza storico - turistica e culturale. Per risolvere al meglio il problema idrogeologico del territorio, occorre pensare necessariamente ad serio progetto di esondazioni controllate, realizzando dei canali scolmatori che riescano a convogliare l’acqua attraverso invasi realizzati in aree poco o non antropizzate. Con tale sistema si riuscirà a ridurre la portata di acqua partendo dai monti, impegnando ogni territorio a trannere le proprie acque come bene prezioso, rilasciando solo il minimo vitale e grazie alla presenza di invasi irrigui si riuscirà ad ottenere preziose risorse idriche da “spendere” nei periodi siccitosi, portando così i territori in cui arriva l’acqua, ad essere valorizzati. Dove c’è più acqua, nasce fauna, i terreni diventano più fertiri per le coltivazioni e si sviluppano. A prescindere dalla diversità meteorologica, l’essere umano ha il dovere e la capacità per tutelarsi, e per farlo occorre concedere ai fiumi di scorrere liberi come un tempo, convogliandone l’acqua dove si decide, tutelando oltre alle zone abitate, anche la natura e gli habitat esistenti. Tutto questo non può essere fatto da una “diga”. Vorrei ricordare che l’emergenza idrica è provocata anche dalla cattiva gestione degli sbarramenti e dalla poca manutenzione. In Italia moltissimi invasi hanno bisogno di interventi importanti, che ad oggi non sono economicamente possibili. Un sistema segnato da catastrofi che in passato diedero impulso al controllo statale. Il crollo della diga del Gleno (1923), le tragedie della diga di Molare (1935), di Pontesei (1959) e del Vajont (1963), dimostrano che realizzare maxi opere per la tutela idrogeologica non è mai realmente vantaggioso. L’unica soluzione possibile e più sicura è quella delle esondazioni controllate che riuscirebbe davvero a tutelare l’intero territorio parmense e anche la trascurata ma tanto importante Colorno. Nicola Scillitani Presidente di Amo - Colorno

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