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Palestre e piscine: a Parma protocolli rispettati ma strutture appese all'ultimatum del premier

Domenica il Governo deciderà se lasciare aperti o meno i centri sportivi in città e nel resto d'Italia. I motivi della spaccatura tra scienza e politica

Palestre sì, palestre no. Piscine aperte o piscine chiuse? Sembra incredibile come un intero Paese e oltre diecimila nuovi contagi al giorno dipendano da un dpcm che possa portare a un'altra chiusura di tutte le strutture fitness in Italia.
Facendo un giro per alcune palestre di Parma, appare immediatamente chiaro come i protocolli e le misure di prevenzione siano attualmente rispettati quasi ovunque. E allora saltano alla mente le parole del premier Conte di domenica sera: "Se non ci si mette a norma, chiudo tutto". La domanda a questo punto sorge spontanea: perché dovrebbe essere penalizzato un intero settore e invece il governo non ha intenzione di chiudere solo chi effettivamente non rispetta e non ha rispettato i protocolli (distanziamento, attrezzi puliti, uso dei dispenser con gel per le mani, aerazione dei locali, mascherina in sala e negli spogliatoi, misurazione della febbre)?


I più maligni pongono l'accento sul fatto che il governo, davanti all'aumento dei casi, debba far vedere che qualcosa sta facendo e quindi è quasi obbligato a penalizzare alcuni settori, in pratica quelli più deboli, come il fitness ad esempio. Senza tenere conto che in una città come Parma sono molti gli addetti che per mettersi in regola già a maggio avevano speso migliaia di euro per garantire ai loro clienti la ripartenza di corsi e lezioni. Idem per le piscine.


Già, ma cosa è successo tra sabato e domenica scorsi, quando a un certo punto sembrava praticamente certa la chiusura dei centri sportivi, poi rimasti 'sub iudice' per una ulteriore settimana?


La discussione sull’opportunità di chiudere palestre e piscine è andata avanti per diverse ore, domenica 18, e alla fine il Comitato tecnico scientifico si è diviso. I fatti: il Cts riceve da palazzo Chigi il quesito sull’opportunità di chiudere i centri sportivi, argomento di cui si discute da giorni senza un accordo. Al ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, che si oppone e trova l’appoggio dei colleghi degli Affari regionali Francesco Boccia e dell’Agricoltura Teresa Bellanova, si contrappongono quello della Salute Roberto Speranza e dei Beni culturali Dario Franceschini decisi sullo stop. In mezzo il premier Giuseppe Conte, su una linea più morbida.


Domenica sera, una manciata di ore prima della conferenza tv del premier, si capisce che sarebbe stato impossibile trovare un accordo e si decide di consegnare al governo l’esatto resoconto di quanto accaduto. Il parere finale «ribadisce l’importanza dell’attività fisica determinante per la salute» che però «va tutelata in un giusto equilibrio con le politiche di contrasto e controllo della pandemia». Evidenzia i rischi «dell’attività fisica aerobica svolta in ambiente chiuso senza l’utilizzo della mascherina» così come la valutazione relativa alla situazione di spogliatoi e docce.

Alla fine «suggerisce una temporanea sospensione delle attività di uso di piscine e palestre nel principio di massima cautela raccomandando un adeguamento alle linee guida». Conte poco prima di parlare al Paese decide di tenere aperto e concede una settimana per mettersi in regola e riscrivere i protocolli. I protocolli, già.  Qualcuno a questo punto si chiede: quello attuale non va dunque più bene?
Nei fatti, mezza settimana è già passata dall'ultimatum e il caos è alle stelle. In mezzo, un intero settore finito nel calderone di una spaccatura tra scienza e politica. E che rischia fra pochi giorni di pagare un conto altissimo con un'altra chiusura. 

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