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A cura di Giada Bertini

Ricerca senza animali, Hartung a Corriere.it: “La scienza è pronta, i governi no"

Ecco l'intervista di Thomas Hartung, professore della Johns Hopkins Bloomberg a Corriere.it: "È solo questione di business, le aziende ne farebbero volentieri a meno"

La questione sulla sperimentazione animale rimane aperta, per cui voglio riportare un’interessante intervista rilasciata a Corriere.it che spiega il punto di vista di un autorevole professore e scienziato, Thomas Hartung, professore alla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, che fra il 2002 e il 2008 è stato a capo del Centro europeo per la convalida dei metodi alternative (Ecvam) della Commissione Europea. Le aziende farmaceutiche, perlomeno quelle che sostengono in proprio i costi della ricerca, hanno tutto l’interesse ad abbandonare la sperimentazione animale.

Se non proprio per una questione di etica, quanto meno per un discorso di business. Perché sperimentare sugli animali comporta costi e tempi lunghi che male si combinano con il mercato (perché i farmaci salvano la vita, ma sono pur sempre prodotti commerciali e con il mercato si devono necessariamente confrontare) e con la rapidità di cambiamento che esso oggi richiede. Thomas Hartung non ne ha alcun dubbio.“Basterebbe un dato – ha spiegato Hartung – per cui fra il 2005 e il 2008 in tutta l’Ue il ricorso alla sperimentazione animale nell’industria farmaceutica è calato proprio del 25%. Ogni volta che le aziende possono passare ai metodi alternativi, semplicemente lo fanno”. Perché sono convenienti. Perché danno risultati più efficaci. E perché li danno in tempi più stretti. 

Professor Hartung, i metodi alternativi sono visti spesso come pretesto per una battaglia solo etica o ideologica. Perché farvi ricorso?

“Perché la sperimentazione animale non dà risposte abbastanza rilevanti per l’applicazione sull’uomo. Nel mio campo, la tossicologia, gli esperimenti su topi e ratti danno ad esempio una capacità predittiva su se stessi del 60%; sull’uomo, per gli effetti delle droghe, del 43%. Troppo poco per compiere valutazioni efficaci. Ma questo non è il solo aspetto. Ce ne sono altri due a cui le aziende farmaceutiche sono particolarmente sensibili: costi e tempi”.
Vale a dire?
“I test che oggi si compiono sono troppo costosi. Testare il cancro sugli animali costa più di un milione di euro, una cifra enorme, che non ci possiamo permettere. E poi la durata: ogni ciclo di studio degli effetti dei tumori sui topi dura circa quattro anni, ma il cambiamento dei metodi di cura è molto più veloce e richiederebbe una maggiore reattività. Soprattutto considerando la quantità di sostanze che devono essere testate e le loro innumerevoli combinazioni: basti pensare che spesso le terapie sono basate su cocktail di farmaci. Bisogna pensare a costi più bassi e tempi più stretti, soprattutto per quei prodotti di cui già conosciamo molto. I metodi alternativi, e sostanzialmente il ricorso a modelli virtuali possibili grazie alle nuove tecnologie o lo studio su cellule staminali umane che danno ottimi risultati nello studio di biologia e tossicologia, rispondono a questi criteri”.
Per quale motivo allora si fa così fatica a prenderli in considerazione? 
“È sempre un problema di mercato. Le diverse legislazioni nazionali prevedono test sugli animali obbligatori e i farmaci non ricevono autorizzazioni se questo passaggio viene saltato. Le aziende di conseguenza sono state costrette ad investire in questo campo. La legge purtroppo fa riferimento a metodi superati, non è stata capace di adeguarsi ai tempi”.

LEGGI L'INTERVISTA COMPLETA SU CORRIERE.IT 
 

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