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Cronaca

Aids, Parma sopra la media regionale. Ora a rischio sono gli adolescenti

Si celebra oggi la giornata mondiale contro questa terribile malattia. Abbiamo raccontato la storia di Elena: nel 1995 i medici le diedero due anni di vita. Ma lei è ancora viva, ha trovato se stessa e oggi aiuta gli altri malati

Come ogni primo dicembre, ricorre oggi la giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS. Lo scopo di queste ore è dare l’opportunità di focalizzare l’attenzione sul problema e sulle prospettive di cura.
In provincia di Parma il tasso d’incidenza della malattia è passato da 5,3 casi ogni 100mila abitanti del 2000/2001 (pari a 42 casi, contro un tasso regionale di 4,7 relativo a 373 casi) a 2,4 del 2006/2007. Il dato preoccupante, però, è che nel biennio 2007/2008 si è registrato un tasso di nuovi casi di sieropositività di 11,5, il più alto della regione Emilia Romagna dopo Forlì, e sopra la media regionale di 9,1.
Ad oggi i soggetti a maggiore rischio non sono più omosessuali e tossico dipendenti, ma gli adolescenti che si approcciano a rapporti sessuali non protetti.

Il Drop-in dell’Unità di Strada dell’USL ha sede in via dei Mercati. E’ una struttura aperta di accoglienza e di ascolto per le persone tossicodipendenti e sieropositive che non hanno contatti o hanno contatti incostanti con i servizi di cura. Luogo d’incontro per attività di prevenzione, animazione, interventi socio assistenziali (mensa, dormitorio, docce, vestiario, ecc), consulenze legali, colloqui ed informazioni.
“Distribuiamo siringhe, salviettine disinfettanti, preservativi, ecc. La raccolta e lo scambio delle siringhe usate è a tutela di tutta la popolazione per evitare che vengano abbandonate sul territorio. Interventi socio-assistenziali per chi vive sulla strada o a rischio povertà, offriamo mensa, dormitorio, igiene personale, momenti di socializzazioni, laboratori creativi.” L’unità di strada sarà questo pomeriggio dalle 17,00 alle 20,00 al Barilla Center per opera di prevenzione, all’interno delle numerose attività proposte oggi dall’USL per riportare all’attenzione pubblica un problema che non deve essere mai sottovalutato.

LA STORIA DI ELENA

Elena ha contratto il virus HIV nel 1991, ma ha fatto il test quattro anni dopo, nel 1995, quando i medici non riuscivano a curarle una dermatite seborroica. “Mi diagnosticarono due anni di vita. Ricordo che mi misi al volante, e iniziai a guidare veloce, sempre più veloce, perché tanto valeva morire subito. Per la mia famiglia fu un vero colpo, soprattutto per mia madre, mi disse che di certo sarebbe morta prima lei per il dispiacere, e così è stato, sei mesi più tardi. Caddi in depressione. All’improvviso la tua vita cambia, e il pensiero fisso è quello della malattia, il tuo corpo e la tua mente non sono più liberi, ma legati ad una sentenza.

Poi incontrai una persona speciale, Riccardo, un altro sieropositivo con problemi di tossicodipendenza. Mi disse che potevo convivere con la malattia, semplicemente dovevo nascere una seconda volta, impostare di nuovo le mie giornate, conoscere il mio corpo e i suoi segnali, essere medici di se stessi e studiare la malattia. Così ho fatto. Oggi Riccardo non c’è più, è morto da tempo, e ogni volta che vado in chiesa accendo una candela per mia madre, e una per lui, perché senza quelle parole, la depressione mi avrebbe portato via anche le poche difese immunitarie che mi rimanevano, alleandosi con il virus.

Il rapporto con le persone diventa difficile, non tutti capiscono, qualcuno ti vede in principio come un portatore di malattia. Mio marito all’epoca ha scelto un’altra donna. Ricordo un episodio, uno dei tanti episodi dolorosi: ero a casa di mia zia, chiesi un bicchiere d’acqua, e appena lo posai sul tavolino, dopo aver bevuto, mia cugina corse a buttarlo nella spazzatura, temendo qualche contagio. Nonostante tutto questo, un malato sieropositivo deve prima di tutto tutelare gli altri, e dopo se stesso. E’ una delle prime cose che metto in chiaro, ovviamente non sempre va bene, ma lo capisco. Una ragazza che conosco ha avuto un rapporto non protetto con un uomo, dopo qualche giorno ha ricevuto una telefonata da quest’ultimo che la informava di essere infetto.  Fortunatamente lei non ha contratto il virus, ma per me questo si chiama tentato omicidio.

Alcuni malati non ammettono la loro situazione per paura del rifiuto, altri per cercare condivisione, solamente un malato può capire fino in fondo un altro malato. Io amavo lavorare, ero una persona attiva, facevo la volontaria in pubblica, ma ho dovuto lasciare tutto questo per un fisico stanco che non riesce più a funzionare. Le cure sono pesanti, una triplice terapia che porta stanchezza, e il mostro della depressione sempre in agguato. Sono pensionata a 41 anni, ma con 700 euro al mese come faccio a condurre una vita dignitosa? Vengo ogni giorno all’Unità di Strada dell’USL, mi tiene impegnata, mi fa sentire utile. Sono in contatto con altri malati, e a modo mio faccio per altre persone quello che Riccardo ha fatto per me. Ammalarsi nel 2010 non vuol dire avere meno problemi, anzi. Non sai come va a finire, tutte le persone sono diverse. A me avevano dato due anni di vita nel ’91, invece eccomi ancora qui. La malattia mi ha tolto tanto, ma forse mi ha donato ancora di più. Ogni giorno è importante, e quello che riesco a fare me lo godo come non facevo prima. Ho iniziato a credere in Dio, ho visto la luce, mentre prima credevo solo in me stessa”.

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