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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Camorra, sequestro per 30 milioni di euro al clan della Camorra: confische di abitazioni e terreni anche a Parma

Direzione investigativa antimafia e Guardia di finanza in azione contro due fratelli imprenditori nel settore del cemento e della ristorazione

Tre società, 75 beni immobili, 18 terreni, 18 abitazioni, 2 opifici industriali e 36 garage tra Parma, Caserta, Benevento, L'Aquila e Salerno. E' questo il bilancio del sequestro, operato dalla guardia di finanza che ha eseguito l'ordinanza emessa dalla Direzione Investigativa Antimafia nei confronti di due fratelli imprenditori, attivi nei settori del cemento e della ristorazione e ritenuti vicini al clan camorristico Belforte. Tra i beni sequestrati anche alcune autovetture, tra cui una Ferrari ed una Porsche e tre barche. 

La Direzione Investigativa Antimafia, la Divisione Anticrimine della Questura di Caserta ed il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta stanno eseguendo infatti un decreto di sequestro beni e di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende, emesso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere - Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione - su proposta del Direttore della DIA e del Questore di Caserta con la collaborazione della Guardia di Finanza, nei confronti di due fratelli imprenditori operanti nei settori del cemento e della ristorazione del casertano.

"La contiguità dei destinatari del Decreto all’organizzazione camorristica denominata clan “Belforte”  - si legge in una nota - è emersa nell’ambito di una inchiesta giudiziaria svolta nel 2014 dalla Squadra Mobile di Caserta con il coordinamento dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e definita processualmente nel 2016 per uno dei due proposti con sentenza di condanna a 8 anni di reclusione e 8 mila euro di multa del G.I.P. del Tribunale di Napoli. Pronuncia sostanzialmente confermata nel 2017 in seconde cure - divenuta irrevocabile nel 2018 - dalla Corte di Appello del capoluogo campano che gli comminava una pena ad anni 5, mesi 5 e giorni 10 di reclusione e 4 mila e 600 euro di multa". 

Il meccanismo criminale ideato dai due imprenditori - definiti anche “le spie del pizzo” - si realizzava sia mediante sovrafatturazione degli importi dovuti “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni, sia attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Tale sistema era così collaudato che gli imprenditori che avviavano nuove attività talvolta si rivolgevano spontaneamente ai predetti affinché indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”.

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