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Cronaca

False documentazioni a chi non aveva i requisiti per il permesso di soggiorno: 36 indagati e un 26enne ai domiciliari

Indagini della polizia. Il ragazzo è indagato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso ideologico. Avrebbe prestato consulenza ed ausilio a cittadini stranieri che avevano bisogno di ottenere il permesso di soggiorno, ma privi dei titoli legittimi per ottenerlo. Prezzo della "pratica": 1.500 euro

La Polizia, in esecuzione di una ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal Gip del Tribunale di Parma su richiesta della locale Procura, ha arrestato un pakistano 26enne, indagato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso ideologico per induzione in errore. Il ragazzo è indiziato di aver prestato consulenza ed ausilio a cittadini stranieri che avevano bisogno di ottenere il permesso di soggiorno, ma privi dei titoli legittimi per ottenerlo, fornendo loro falsa documentazione, coadiuvandoli nella presentazione delle domande ai competenti uffici e facendosi remunerare per tali prestazioni con somme di denaro non inferiori a 1000/1500 euro.

In particolare, l’attività investigativa condotta dalla sezione Reati contro la Pubblica amministrazione della squadra Mobile, ha consentito di appurare che il 26enne stesse sfruttando le “opportunità” offerte dal Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Nel corpo di tale normativa, all’art. 103 il Legislatore aveva introdotto una specifica disciplina volta a favorire l’emersione dei rapporti di lavoro irregolare e la possibilità del rilascio di uno specifico titolo di soggiorno per i lavoratori stranieri “emersi” a cui il pakistano avrebbe fatto ricorso per regolarizzare la posizione di stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, pronti a pagare di tasca propria i contributi previdenziali per simulare la sussistenza di un rapporto di lavoro; il tutto dietro compenso da versare all’intermediario e al finto datore di lavoro.

L’attività investigativa è partita dagli accertamenti operati sul conto di un cittadino straniero irregolare che, davanti al Giudice di Pace di Torino - chiamato a convalidare l’espulsione con accompagnamento alla frontiera disposta dal Prefetto di Parma - ha riferito che aveva presentato istanza di emersione ai sensi dell’art. 103 DL 34/20 in quanto badante “in nero” di un cittadino parmigiano, così evitando l’espulsione dal territorio nazionale.

Gli accertamenti effettuati nel prosieguo dell’attività investigativa hanno consentito, da un lato, di riscontrare che, effettivamente, lo straniero avesse presentato domanda per il riconoscimento dello status di lavoratore “emerso” ma, dall’altro, che il presunto lavoro di collaboratore domestico fosse del tutto fittizio. Nel corso dell’intera attività investigativa, la Procura ha analizzato una pluralità di rapporti di lavoro riconducibili alla normativa in questione, ritenendone fittizi ben 18, alla luce della ricostruzione delle pratiche di emersione pendenti non solo presso l’Ufficio Immigrazione e la Prefettura di Parma, ma anche presso gli omologhi uffici delle province di Mantova, Cremona e Reggio  Emilia.

Il 26enne, in particolare, è indagato per la gestione delle pratiche relative a sette stranieri, mentre le ulteriori pratiche, con il medesimo ruolo e le medesime modalità, sarebbero state gestite da una cittadina indiana di 35 anni: in relazione alle condotte perpetrate da quest’ultima, il Gip di Parma ha rilevato l’incompetenza del Tribunale di Parma, a favore di un altro Tribunale, nella cui giurisdizione si sarebbe consumato il primo e più grave reato tra quelli contestati nei suoi confronti.

Complessivamente, oltre al 26enne e alla 35enne, nell’ambito del procedimento risultano indagate trentaquattro persone, tra datori di lavoro e lavoratori (in base a rapporti di lavoro che, ovviamente, allo stato degli atti devono ritenersi di natura fittizia), “beneficiari” della procedura di emersione. In particolare, ai datori di lavoro ed agli intermediari sono contestati reati di favoreggiamento dell’immigrazione, falso in atto pubblico e - per la sola 35enne - anche il delitto di traffico di influenze illecite; ai lavoratori vengono contestate le false dichiarazioni rese e la falsa documentazione prodotta nel corso della procedura di emersione dal lavoro irregolare.

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