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Cronaca

Federico Pesci, depositate le motivazioni della sentenza: "Il consenso è sempre revocabile"

L'imprenditore è stato condannato in primo grado a 8 anni e 6 mesi per violenza sessuale e lesioni

"Il consenso è sempre revocabile e deve permanere per tutto il tempo del rapporto". E' questo il concetto principale delle motivazioni della sentenza di condanna, in primo grado, di Federico Pesci a 8 anni e 6 mesi di reclusione per i reati di violenza sessuale e lesioni aggravate nei confronti di una giovane - all'epoca dei fatti 21enne, che lo aveva denunciato dopo la notte tra il 18 e il 19 luglio del 2018, passata nel suo attico di via XXIV Maggio. Il Tribunale Penale di Parma ha infatti depositato le motivazioni della sentenza di condanna, in primo grado. 

La sentenza prevede anche il risarcimento per la ragazza e per le parti civili, ovvero il Centro Antiviolenza e il Comune di Parma.  La richiesta del Pm Andrea Bianchi era stata di una condanna a 9 anni. La sentenza è stata emessa dal collegio di giudici presieduti da Gennaro Mastroberardio.  Anyem Wilson Ndu, l'uomo che era presente insieme a Pesci nell'attico di via XXIV Maggio era già condannato a 5 anni e 8 mesi di carcere. 

Nelle 111 pagine della sentenza vengono ripercorse le tappe del processo di primo grado: le prove, le dichiarazioni della ragazza, gli accertamenti investigativi e le dichiarazioni dei medici. Ci sono poi le intercettazioni - trascritte ed allegate a parte - da parte del Pubblico Ministero e della difesa dell'imputato. La perizia psichiatrica disposta dal Collegio ha concluso, rispetto alla ragazza "la capacità di narrare e rievocare i ricordi riferiti a sé e alla relazione con gli altri si è mantenuta integra nel tempo e, ad avvalorare la sua credibilità, sono riportati l’assenza di intenti calunniatori o recriminatori e l’iniziale reticenza a denunciare i fatti, al fine di evitare la macchina giudiziaria. La credibilità della ragazza, riconosce il Tribunale, deriva proprio dalla spontaneità con cui ha fatto trasparire le sue fragilità e le sue debolezze".

"La sentenza - sottolinea il Centro Antiviolenza, parte civile al processo - per quanto possa rilevare la lettura che ne può dare chi come noi si occupa di violenza maschile sulle donne, di stereotipi e discriminazioni, dopo aver analizzato tutte le censure mosse dalla difesa dell’imputato ribadisce con chiarezza che il discrimine tra atto sessuale lecito e atto sessuale illecito è il consenso, un consenso che non è solo all’atto in sé ma anche alle modalità con cui viene posto in essere, un consenso che deve permanere per tutto il tempo del rapporto ed è sempre revocabile".

A Federico Pesci non sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche "sia per la gravità dei reati commessi che per l’atteggiamento, tenuto nel corso dell’intero iter processuale: privo di una seppur minima manifestazione di resipiscenza per i reati commessi. Il Tribunale ha riconosciuto che l'imputato ha determinato un danno alla ragazza - difesa dall’avvocata Donata Cappelluto - ma anche alle parti civili "avendo offeso i valori tutelati e gli scopi perseguiti di tutela della persona, il Comune di Parma, e di lotta contro ogni forma di violenza contro le donne, il Centro Antiviolenza; enti la cui immagine risulta minata in ordine all’efficacia della propria azione, con perdita di fiducia, da parte dell’opinione pubblica, nei servizi offerti e la necessità di prestare ancora maggiore impegno per recuperarla e per perseguire i propri scopi socialmente utili".

"Noi come Centro Antiviolenza - sottolinea l'associazione - ci siamo costituite parte civile nel processo scegliendo di essere assistito dall’avvocata di altro Centro Antiviolenza, avvocata Giovanna Fava, del Foro e dell’associazione Nondasola di Reggio Emilia, e di rimanere del tutto silente nella campagna mediatica che vi è stata per tutto il corso del processo, perché il suo scopo è sempre e solo stato quello di far emergere la verità sostenendo la donna che la violenza l’ha subita, consapevole che la sua credibilità sarebbe stata oggetto di forti attacchi e così continuando ad affermare il diritto di ognuna all’autodeterminazione. Non siamo riuscite ad evitare alla donna la durezza del processo ma siamo liete che sia stata creduta e che il Tribunale le abbia reso giustizia".

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