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Cronaca

Libri d'estate. "Manifattura Tabacchi 1948": l'incontro di Andrea Cabassi con Emilio Lussu

Un viaggio autobiografico e storico per non dimenticare figure di grande dirittura morale che dedicarono una vita intera a combattere il fascismo nel primo libro del parmigiano Andrea Cabassi, che racconta a ParmaToday il suo 'Manifattura Tabacchi 1948'

Come definire il primo libro di Andrea Cabassi, un viaggio per estinguere un debito in una terra sentita come quella di appartenenza, un incontro immaginario con una figura portante della democrazia e dell’antifascismo italiano. Ma non solo. La presa di coscienza di come la scrittura riesca a suscitare domande nel lettore portandolo non solo a dare un’interpretazione propria di fatti noti e della psicologia di figure storiche importanti ma anche a interrogarsi sulla propria esistenza, sulla questione dell’appartenenza alla terra, sull’importanza di essere meticci.

Manifattura Tabacchi 1948 è un libro che trascende i confini del racconto, intraprende un dialogo con un simbolo di democrazia e lotta antifascista come Emilio Lussu, nella continua ricerca di risposte, anche personali. Da cosa è partita l’urgenza di intraprendere questo “viaggio”?

E' un “viaggio” allo stesso tempo autobiografico e storico. L’urgenza di intraprenderlo è stato l’imperativo etico di far rivivere donne e uomini di grande dirittura morale che dedicarono la loro vita all’impegno antifascista e per l’affermarsi della democrazia in Italia. L’urgenza del viaggio è determinata dal fatto che sempre più, nel nostro paese, corriamo il rischio di dimenticare la nostra storia. Nel libro, poi, la memoria privata interseca quella pubblica, l’una vivifica l’altra.

Una lettera e qualche vecchia foto le tracce per partire verso la Sardegna, alla ricerca di risposte per estinguere un debito idealmente contratto col proprio padre, legato a Cagliari da un vincolo quasi più forte di quello con la propria città d’origine. Vicende personali che si intrecciano con scorci dai quali il lettore entra nel vivo di quei dibattiti animosi interni al partito immedesimandosi quasi in prima persona. Quale il filo conduttore che tiene in piedi tutto?

Il
filo conduttore potrebbe essere l’esortazione di Lussu al narratore: “Sii meticcio”. Lussu esorta il narratore ad essere meticcio, ma è come se tale esortazione la facesse a sé stesso. Lussu era un uomo che aveva una visione europea delle cose. Aveva vergogna del separatismo, eppure si considerava sardo e sardista, ma anche italiano ed europeo. Per il narratore è lo stesso. E qui, davvero, le vicende personali si intrecciano alle vicende storiche. Non sono mai riuscito a comprendere le visioni localistiche (e questo non significa che le eccellenze locali non debbano essere valorizzate) perché le considero prive di orizzonte e pericolose quando si trasformano in nazionalismo, in una chiusura al mondo. Mi viene in mente, quasi come un deterrente, la canzone che l’anarchico Pietro Gori scrisse nel 1904: “Nostra patria è il mondo intero".

Cosa è scattato in lei il giorno che ha capito che era arrivato il momento di scrivere questo libro?

Il desiderio di fare memoria, di coltivare la memoria. Ho capito che era il momento di scrivere quando ho percepito un vuoto, quando mi è diventato difficile sentire un senso di appartenenza politica specifico (anche se la mia appartenenza alla sinistra in generale non è mai stata in discussione) e geografico. Questi momenti critici possono essere anche creativi e possono portare ad interrogarsi sulla propria storia e sulla Storia.

Dalla lotta politica antifascista alla negazione del separatismo al carcere e al ritorno a casa, amaro per i dissidi interni e le parole taglienti dalle diverse anime del partito. Come descriverebbe Lussu a un giovane lettore di oggi e quale messaggio, quale lezione dovrebbe arrivare oggi dalle sue lotte?

Descriverei Lussu come un uomo dalla schiena dritta, che ha sempre anteposto il bene comune agli interessi personali, un uomo che non si è mai arreso e che ha sempre pagato di persona. Ai giovani di oggi vorrei dire che Lussu è un esempio di come la politica possa essere una cosa alta, di come la politica possa essere molto diversa da quella che si pratica oggi, che non è la politica che deve essere condannata, ma gli uomini che la praticano in modo distorto. La politica dovrebbe essere qualcosa che coinvolge tutti noi. Del resto il termine politica deriva dal greco Polis, città e, dunque, in quanto cittadini noi siamo uomini politici. Lussu e coloro che appartennero al Partito d’Azione ebbero questa idea alta di politica e cercarono di trasmetterla: una politica che non era mai disgiunta dall’etica.

Immagino abbia compiuto un lungo lavoro di ricerca attorno alla figura di Emilio Lussu partendo magari da quanto egli stesso trasmise attraverso “Un anno sull’altipiano” o “Marcia su Roma e dintorni”, per poi entrare più in profondità cogliendo oltre alla sua filosofia di pensiero anche il lato umano. Cosa è riuscito a carpire entrandoci in contatto idealmente in modo così ravvicinato?

Forse esiste una visione un po’ stereotipata dell’uomo Lussu. Lussu non era solo il
balente, l’uomo dall’ironia caustica. Era una persona di grande sensibilità che nascondeva la sua sensibilità dietro una maschera burbera. Ho avuto modo di parlare con Salvatore Pirastu che fu compagno di partito di Lussu nel PSI e il suo medico personale. Da questi dialoghi è emerso come egli fosse persona di grande sensibilità, di come in lui fosse forte il senso dell’amicizia. Il suo amore per la moglie Joyce meriterebbe un intero capitolo di un altro libro. Amore profondo e contraccambiato. Basterebbe leggere le pagine che Joyce scrisse sulla morte del marito in “Portrait”. Descrive il senso di vuoto, quasi l’ottundimento dei sensi quando si rese conto che lui non c’era più. Un grande amore, durato un’esistenza intera.

Non si tratta “solo” di Lussu, di dialoghi immaginari con lui o tra lui e altre figure storiche, ma di utilizzare l’arte della scrittura e dell’immaginazione per restituire, però con veridicità, tratti, emozioni, momenti, caratteristiche, anche di altre persone che hanno avuto peso nelle vicende o che sono rimaste lacerate irreversibilmente dagli eventi, come la poetessa Amelia Rosselli, che nulla ha potuto davanti a troppe morti, da suo padre e suo zio uccisi per mano fascista in poi.

I dialoghi immaginari mi hanno permesso una grande libertà di movimento anche se ho sempre cercato di essere fedele ai fatti storici. Amelia Rosselli è un personaggio straordinario. E’ stata una delle più grandi poetesse del novecento. Ebbe una vita costellata di tragedie, in primis l’assassinio del padre e dello zio ad opera dei fascisti. La scrittura, la sua opera poetica sono state la risposta estrema a tutte quelle tragedie, quelle morti. Ma la grande poesia non la risparmiò dallo strazio, dal male di vivere, tanto che nel 1996 si tolse la vita gettandosi dal balcone di casa a Roma in Via del Corallo. Ebbe un rapporto difficile con Joyce Lussu. Joyce cercò di prendersi cura di lei, ma senza successo. E, forse, non avrebbe potuto essere diversamente.

La ricerca quasi spasmodica delle proprie radici è la costante di tutto il libro, come un bisogno fisico da soddisfare, qualcosa di latente rimasto in sospeso, presente in modo inconsapevole in attesa di emergere in superficie. Spesso, magari vivendo lontani dalla propria terra, si vive un rapporto travagliato con le proprie radici o magari ci si interroga per anni nel tentare di capire quali siano quelle vere. “Scoprire qual è, se c’è, l’eredità che ci è stata lasciata” come scrive nel suo libro, è questo il senso? Questo continuo interrogarsi sembra che in alcuni punti trovi risposta proprio da Lussu, quando idealmente dice: “Pensa alle radici, alle tue radici, in tutt’altro modo. Pensale dinamiche, e non statiche. Pensa che sono movimento, storia, relazione, partitura musicale. Sono le nostre storie che cominciano molto prima della mia e della tua venuta al mondo, sono la storia delle nostre famiglie, sono i suoni, le musiche, i racconti che ascoltavamo quando eravamo molto piccoli…magari ascoltavamo senza capire, come facevo io con i contos de foghile, della caccia, dei cinghiali del diavolo che popolavano le nostre foreste, i nostri boschi. [..] Sono le storie che tuo padre ti narrava di Cagliari, del servizio militare, e i suoi desideri di migrare in questa terra, sono le navigazioni tra i marosi dell’esistenza, circumnavigazioni di Gibilterre alla ricerca di un terreno che ci manca sotto i piedi e che stentiamo a trovare…sono le nostre storie e le nostre storie sono le nostre radici. Non altro

C
redo che questo sia uno dei nuclei centrali del libro, il senso della mia ricerca tuttora in corso. Una ricerca che ha radici lontane e risale ai tempi (forse 30 anni fa) quando vidi per la prima volta lo splendido film del regista tedesco Wim Wenders “Nel corso del tempo”. C’è una scena in cui l’amico chiede al protagonista: “Ma tu chi sei?” E lui risponde: “Io sono la mia storia”. Quella frase non l’ho mai dimenticata, ha avuto profonde risonanze emotive in me che ho avuto un padre che ha “rischiato” di diventare sardo, quella frase mi ha costretto a farmi incalzanti e continue domande sull’identità e le radici. In effetti penso che la nostra identità, le nostre radici siano una realtà dinamica. Appunto la nostra storia e quella della nostra famiglia.

Riesce a tenere il lettore avvinghiato alle pagine rendendogli più umana e vicina la figura di Emilio Lussu nell’intento, credo, di far comprendere meglio anche ciò che c’è stato dietro quegli ideali e le continue difficoltà nel riuscire a tenerli alti nonostante i dissidi, anche interni, e le accuse di tradimento. In che modo la scrittura riesce a fare tutto questo? Si potrebbe parlare di un ruolo sociale dello scrittore?

Sì io credo che lo scrittore abbia un ruolo sociale ed etico. La scrittura di tipo narrativo penso che veicoli meglio questo ruolo di quanto non faccia la scrittura di tipo storico. Lo storico è vincolato alla oggettività degli eventi (anche se è illusorio pensare ad una completa oggettività). Il narratore fa i conti con la storia, ma il vincolo che ha è più lasso, si muove con maggiore libertà e può ricercare nei personaggi diverse sfaccettature, a volte entra nel personaggio e ci si identifica provando quasi i medesimi patimenti, condividendo i medesimi ideali. Anche se è buona norma che l’identificazione non sia totale, che un distanziamento ci sia sempre perché il distanziamento è quello che, alla fine, permette di controllare la materia da narrare.

Tra le pagine incursioni di un concetto a lei particolarmente caro, quello della semantica dei mondi possibili, immaginare quello che sarebbe accaduto se…E’ uno strumento particolare questo, con cui il protagonista si diverte a immaginare una quotidianità diversa, come in un mondo parallelo, stimolando però anche il lettore a vagare con la mente. Un metodo narrativo che diventa anche mezzo di riflessione per scacciare i rimpianti?

La semantica dei mondi possibili è un altro dei nuclei centrali del libro. Argomento sul quale ho riflettuto a lungo domandandomi spesso “se avessi fatto in quel modo invece che in questo come sarebbero andate le cose?” A tal proposito mi vengono in mente due libri. Il primo è quello di Benedetta Tobagi “Mi batte forte il tuo cuore”, il secondo è quello di Antonio Tabucchi “Piccoli equivoci senza importanza". Nel primo Benedetta Tobagi parla esplicitamente della semantica dei mondi possibili. Si riferisce all’assassino del padre, il giornalista Walter Tobagi, ad opera dei terroristi di Prima Linea. Si domanda se non fosse stato ucciso mio padre avrei fatto scelte diverse, la mia esistenza avrebbe avuto biforcazioni diverse? Probabilmente tutta la vita di Benedetta sarebbe stata diversa; nel libro di Tabucchi i vari personaggi dei racconti scelgono, spesso, casualmente i loro percorsi, e quella casualità li porterà ad affrontare vite lontanissime da quelle che avevano immaginato o previsto. Alla fine i libri che mi vengono in mente sono tre e non due. L’ultimo, ma l’antesignano, è “L’eternità degli astri” di Blanqui. Blanqui partecipò alla Comune di Parigi e dopo la sconfitta venne arrestato. In carcere scrisse questo strano libro. Blanqui si domandava se in un altro mondo parallelo e possibile le cose sarebbero potute andare diversamente. La Comune avrebbe vinto? La semantica dei mondi possibili può essere uno strumento per scacciare il rimpianto. Nello stesso tempo può provocare struggimento per quello che non è stato e che non sarà più possibile, quello struggimento e senso di inafferrabilità che si trova in molti racconti di Tabucchi, quello struggimento che possiamo chiamare “saudade”.

Un pensiero di Emilio Lussu che più di tutti ha fatto proprio e porta con se
Lussu sosteneva che aveva sempre teso ad essere un uomo. Con questo intendeva che “essere uomo” significa assumersi in toto le proprie responsabilità accettando di pagare di persona, sempre e comunque, per le proprie scelte. Una grande lezione a cui è sottesa una forte tensione etica.

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