Fondazione Tommasini, la prima lettera a Mario: "Da quando sei partito ci sono grosse novità..."
La Fondazione Mario Tommasini inaugura la scrittura di una serie di lettere a Mario, sui temi a lui cari. La prima è a firma di Maristella Galli, vicepresidente della Fondazione
La Fondazione Mario Tommasini inaugura la scrittura di una serie di lettere a Mario, sui temi a lui cari. La prima è a firma di Maristella Galli, vicepresidente della Fondazione.
LA LETTERA A MARIO - Caro Mario, da quando sei partito non ci sono grosse novità: scandali, corruzione, arroganza del potere, falsità, dibattiti televisivi urlanti che vengono seguiti sempre meno, pavoni che fanno la ruota, imprenditori “furbi” che se ne fregano di chi lasciano senza lavoro, fabbriche che fabbricano malattie. Anzi no, una novità purtroppo c'è: è che noi, a tutto ciò, ci stiamo abituando e mentre nessuno guarda la luna ma solo il dito, i potenti continuano a crescere in ricchezza ed abbondanza. E noi intanto ce la prendiamo con i più disagiati, con i vulnerabili e i vulnerati, con chi fugge dalla guerra, con il compagno del figlio perché è straniero e “sicuramente è lui che ha portato i pidocchi”, con le donne che “la violenza se la vanno a cercare”, con i carcerati “che dobbiamo anche mantenerli”. Perchè è più facile, e noi cerchiamo sempre la strada meno faticosa per il cervello: del resto “loro” si ribellano poco e, quando succede, ci fanno un po' paura e allora invochiamo l'aiuto delle forze di sicurezza. E giriamo come criceti in questa gabbia, inseguendoci senza toccarci, mentre fuori qualcuno ride e si diverte.
A proposito di gabbia: le carceri italiane sono sempre sovraffollate ma quello di Parma sta per ricevere, dal penitenziario di Padova, nuovi detenuti che andranno a diminuire lo spazio vitale di coloro che abitano l'As1 (criminalità organizzata di tipo mafioso). Il primo pensiero di tutti è che più stretti stanno, più dolore provano meglio è, visto ciò per cui sono stati condannati. Poi arriva il secondo pensiero, o meglio dovrebbe arrivare, che è quello che Papa Francesco ha avuto modo di esprimere così bene: “ Chi sono io per giudicare? ” E allora, con un doppio salto carpiato dentro il nostro cuore, dovremmo trovare il coraggio di pensare al carcere con una nuova modalità: il carcere come opportunità. Ma come, gli diamo anche un'opportunità? urlerà il lettore. Ebbene sì, l'opportunità di un percorso di “riparazione”. A noi spetta il dovere di garantire a tutti la dignità della persona, la stessa dignità che vorremmo garantita a noi se un giorno, per motivi imperscrutabili, dovessimo trovarci nella stessa condizione. Dovremmo riuscire a dire, a chi ha scritto sul certificato di detenzione “Fine pena mai” (e da alcuni mesi, con numeri che suonano come una beffa, sta scritto “fine pena 31/12/9999”) :- Nel percorso della tua vita hai fatto tanto male e devi esserne consapevole ma io ti offro la possibilità di sviluppare in te una discussione, di divenire responsabile verso gli altri, di capire che le regole sono necessarie, di frequentare laboratori, di studiare per capire, senza essere imbottito solo di antidepressivi. Scriveva l'anno scorso un detenuto condannato all'ergastolo: “...ho pensato che una volta le persone erano più umane perché ti bruciavano o t’impiccavano. Adesso invece è tutto diverso e per farti soffrire di più ti murano vivo in una cella. Ti danno persino da mangiare. E se ti ammali, anche ti curano. Stanno pure attenti che non ti togli la vita. E non ho ancora capito se lo fanno per il tuo bene o per il tuo male o probabilmente per non fare uscire prima del tempo il tuo cadavere dal carcere. Credo che una pena che dura migliaia di anni oltre che inutile e crudele sia anche stupida. Eppure la nostra Costituzione prevede che la pena abbia solo uno scopo e una funzione, che è quella rieducativa. Non credo che una pena che dura migliaia di anni riuscirà mai a rieducare il mio cuore e la mia anima, spero che ci riesca con il mio cadavere.” La pena deve diventare il diritto per ognuno di passare dalla colpa alla responsabilità. Come sostiene Gherardo Colombo: “ Se noi riuscissimo ad arrivare al bene attraverso il male, il male sarebbe uno strumento del bene e non sarebbe più male".
Che dire Mario? Le buone idee ci sarebbero, mancano gli uomini e le donne di buona volontà che le mettano in pratica. Ci siamo fiaccati? Siamo invecchiati o forse solo un po' addormentati? Forse abbiamo bisogno di un'energia nuova che ci spinga a continuare a progettare. Bisognerebbe rinnescare la forza del desiderio; bisognerebbe sviluppare una progettualità condivisa, un pensiero lungo, insieme a tutte le forze che costituiscono la base della democrazia a Parma come in altri luoghi del mondo. Stanno avanzando segnali non incoraggianti, frasi piene di odio, che partono da menti che sanno dove vogliono arrivare, ma che rimbalzano come le ripetizioni dell'eco in altre menti e, alla fine delle vallate in cui rimbomba il suono, giunge spesso solo il finale di parole urlate con cattiveria ma che esaltano chi ha bisogno di un capo e non vuole o non riesce a pensare un pensiero libero. Ma noi non perdiamo la speranza e continuiamo a seminare. Se il cielo ci aiuta, con giorni di pioggia e giorni di sole...riprendendo l'antica invocazione "A fulgore et tempestate" "A flagello terremotus" "A peste fame et bello" "Libera nos Domine".... il grano maturerà.