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Cronaca

Muore una delle arrestate dell'inchiesta 'Parola d'Ordine'

Una delle persone arrestate si è suicidata mentre era agli arresti domiciliari in una città della Toscana

Una delle arrestate nell'ambito dell'inchiesta della Guardia di Finanza, denominata 'Parola d'Ordine' si è tolta la vita mentre si trovava agli arresti domiciliari all'interno della sua abitazione in una città della Toscana. L'operazione aveva portato all'arresto di sei persone, tra le quali anche l'ex candidata sindaco a Parma Wally Bonvicini, che si trova tuttora in carcere a Modena in preventiva e in attesa del processo, con pesanti accuse. Secondo gli inquirenti infatti l'associazione antiusura promossa dalla Bonvicini, Federitalia, sarebbe servita in realtà a nascondere all'estero i capitali di numerosi imprenditori, allo scopo di sottrarli al Fisco italiano. La prima udienza del processo è stata fissata per il 21 marzo ma una delle arrestate, colleboratrice della Bonvicini, non ci sarà: con un gesto estremo ha deciso di togliersi la vita. Le manette erano scattate all'alba del 18 settembre 2017 con un blitz della Guardia di Finanza che aveva eseguito le ordinanze di custodia cautelare. 

L'operazione 'Parola d'Ordine' 

Sono state sequestrate dai finanzieri  ingenti somme per un valore di circa sette milioni di euro, ed è stato notificato a un notaio e un imprenditore l’interdizione allo svolgimento di attività professionali e di impresa. Nell'operazione denominata 'Parola d'ordine', dove sono stati impiegati circa 100 agenti da POrdenone a Salerno, la Finanza ha calcolato decine di milioni di euro dirottati su società estere, in particolare in Slovenia, Croazia e Senegal, attraverso l'apertura di trust o l'affitto di rami d'azienda o la cessione di quote societarie. Per i clienti cambiava ben poco: le attività economiche delle imprese erano senza soluzione di continuità e, una volta creata sulla carta la società estera, ne veniva contestualmente aperta una nuova in Italia con la stessa sede della società o azienda originaria in modo che, qualora fossero stati scoperti, il patrimonio aggredibile dalle fiamme gialle veniva ad essere il canone d'affitto che la società italiana pagava a quella estera.  L'indagine della Guardia di Finanza è partita due anni fa, dopo la denuncia di un imprenditore raggirato dalla stessa associazione: a fronte di un debito con l'erario ha versato 350 mila euro che non ha più visto rientrare nella sua disponibilità nonostante gli fosse stato garantito una sorta di vitalizio che in realtà non c'è mai stato.

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