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Cronaca

"Quando i tedeschi puntarono il fucile sul ventre di mia madre"

Susi Buondì, vicepresidente della comunità ebraica di Parma racconta un episodio che l'ha segnata per tutta la vita

"Per fortuna non ci sono più i tedeschi" dice sorridendo ma con gli occhi lucidi Susanna Bondì. Per tutti è Susi, il vice presidente della comunità ebraica di Parma e Soragna che porta nel cuore i segni di un periodo travagliato, disastroso. Vergognoso. Per tutti è un'amica, perché ti aiuta nel momento del bisogno - dice chi la conosce - e sorride spesso. Anche nel Giorno della Memoria, stabilito ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell'Armata Rossa impegnate nella offensiiva Vistola-Older in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, Susi sorride ma lo fa trattenendo le lacrime.

Susi custodisce dei ricordi pesanti come macigni. Ogni volta che si parla di leggi razziali e di guerra, a Susi brillano gli occhi perché sofferenza e sollievo si mescolano insieme, le si aggrappano allo stomaco e glielo stringono forte fino a quando escono sottoforma di parole. Seminate sempre con il sorriso. Susi è figlia di ebrei, lei stessa si sente ebrea e lo rivendica con grande orgoglio, ha ereditato la cultura dei suoi genitori, le usanze, i costumi, la religione. E per lei stessa, come evidentemente è stato per sua madre e suo padre, deve essere un vanto, perché quando lo racconta lo fa con l'ardore di chi rivendica la propria appartenenza,glielo si legge negli occhi colmi di lacrime trattenute a stetno. "Vorrei dirle che il Giorno della Memoria non è un rinnovamento annuo. Per noi è ricordato tutto l'anno, non solo il 27, ma molti lo vedono solo come un ricordo. Dovrebbe essere un giorno valido sempre, non una ricorrenza perchè quello che è avvenuto in quei maledetti giorni non accada più. Vorrei che la gente almeno sapesse che è stata una cosa abbastanza pesante e seria". Ma come si spiega ai giovani nei giorni nostri? In un periodo socio-politico tormentato. "Evidentemente quello che abbiamo vissuto - dice Susi - non è servito a sufficenza perchè altrimenti non saremmo a questo punto qua. Forse dà adito a interventi di persone che sulle orme del passato ripropongono qualcosa del genere. Io sono figlia di genitori che hanno vissuto la Shoa e si sono potuti salvare solo perchè hanno vissuto sotto falso nome, con falsi documenti, con falsi certificati di battesimo e aiutati da persone che li hanno accolti. Hanno vissuto senza fissa dimora. Mio padre, pur essendo nato a Roma, ha fatto risultare sui documenti di essere nato a Napoli e aveva il permesso di soggiorno che gli permetteva di vivere a Roma. I cognomi falsi non erano identificabili come cognomi ebraici". 

"E' stata un'agonia, ma alla fine li ha salvati. Mio padre e mia madre ci hanno talmente inculcato a me e ai miei fratelli questa tragedia che, quando ce lo hanno raccontato, anche a noi sembrava di averlo vissuto. Io ripeto le storie ai miei nipoti dicendo: 'se tutto quello che è stato fosse andato diversamente, se anche i miei genitori fossero stati portati nei lager, io non ci sarei e non ci sareste nemmeno voi'. Le racconto un episodio. Quello che più mi ha fatto effetto: mia madre era incinta ed era vicina al parto, aspettava mio fratello nato il 1 marzo del 1944. Piena guerra. Mentre la stavano accompagnando in ospedale, su uno dei ponti di Roma si è palesato un plotone di tedeschi che ha intimato a tutti di scendere. Mia madre, mio nonno e mio zio, tutti con documenti falsi. Mio zio era medico, poteva destreggiarsi perché sapeva il tedesco. Ma non è servito a tanto: a mia madre hanno puntato il mitra alla pancia, deve aver passato un brutto momento. La cosa si è risolta, meno male, grazie alla collaborazione dei medici e di mio zio. Quando in famiglia c'era un problema, mia madre se ne faceva carico e con il sorriso ci ricordava che almeno non c'erano i tedeschi alle porte. La lezione che ho imparato è questa: di fronte ai problemi quotidiani, in confronto a quello che gli ebrei hanno vissuto, c'è sempre una soluzione. Si può  superare tutto, sempre". E per fortuna non ci sono più i tedeschi. 

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