Taccheggio: cosa dice la legge
Il taccheggio è il furto di merce che si trova esposta in vendita all'interno di esercizi commerciali. In quegli esercizi in cui il cliente possa liberamente scegliere e prelevare i prodotti offerti di suo interesse, il taccheggio si realizza tipicamente evitando di esibirli per il dovuto pagamento alla cassa, uscendo dai locali.
L'art. 624 c.p. disciplina il reato di furto affermando che "chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro".
Chi viene trovato a sottrarre merce dagli scaffali presso un supermercato rischia pertanto una querela o una denuncia, a seguito delle quali si rischia di affrontare un procedimento penale per furto. Di norma il delitto è punibile a querela della persona offesa: ciò significa che l'azione penale è esercitata discrezionalmente dal proprietario oppure dal responsabile del punto vendita (colui che, secondo la giurisprudenza, abbia l'autonomo potere di custodire, gestire, alienare la merce).
Chi viene fermato dai servizi di vigilanza, scortato negli uffici e invitato a mostrare i documenti, non potrà essere certo che a suo carico sia poi scattata la querela promossa dalla parte offesa: pertanto, in questi casi, è consigliabile richiedere un certificato dei carichi pendenti, che consente la conoscenza dei procedimenti penali in corso a carico di un determinato soggetto e, così da approntare le proprie difese.
Il reato è procedibile d'ufficio se ricorrono una o più circostanze di cui agli articoli 61, numero 7) e 625, ossia se si cagiona alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità oppure ricorrono altre aggravanti. In questi casi l'azione penale viene avviata automaticamente nel momento in cui giunge all'autorità giudiziaria la notizia del crimine. Ad esempio, scatta la denuncia se il colpevole usa violenza sulle cose o si avvale di un qualsiasi mezzo fraudolento (art. 625, comma 1, n. 2, c.p.). Nel caso del furto in un esercizio commerciale che pratichi la vendita "a self service" dagli scaffali, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (sent. n. 40354/2013), hanno affermato che per configurare tale aggravante non basta il mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta. Per i giudici si tratta, in questo caso, di un accorgimento banale e inidoneo, che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a difesa del bene; invece, ai fini dell'aggravante dell'uso di mezzo fraudolento, è necessaria una condotta, posta in essere nel corso dell'iter criminoso, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza.
Possono essere esempi in tal senso l'utilizzo di borse con doppio fondo, di indumenti per agevolare l'occultamento, di attrezzi per rimuovere o schermare l'antitaccheggio o per rendere comunque seriamente difficoltoso l'accertamento della sottrazione. Per quanto riguarda la fattispecie del furto in supermercato, inoltre, può trovare applicazione la disciplina prevista dall'art. 131 bis c.p. riguardante la particolare tenuità del fatto: spesso chi si rende responsabile del delitto in esame è incensurato e tenta di rubare merce di modesto valore. La norma, se ne ricorrono i presupposti, consente di escludere la punibilità se l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulti non abituale, pertanto furti reiterati esulano dall'applicazione della disposizione.
P.M.