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Cronaca Centro / Piazza Giuseppe Garibaldi

Fine vita, incontro con Nina Welby nella sala gremita del Palazzo del Governatore

Due incontri con Mina Welby, coordinati dal vicesindaco Nicoletta Paci. Il tema è molto sentito: non esiste una soluzione per tutti, ma il rispetto delle scelte di ciascuno. Il registro del testamento biologico utile opportunità

In un mondo che cambia in tempo reale, vengono meno anche le certezze di quando finisce la vita. C’è un confine sempre più sottile fra ciò che non è più vita, ma che non è ancora morte, un limbo che ormai può durare decenni grazie alle tecnologie applicate alla medicina. Dunque, quando arriva il momento di “staccare la spina” e chi è titolato a decidere, se il paziente non è più in grado di comunicare? E’ un tema che coinvolge medicina, etica, affetti, giurisprudenza, e che va comunque trattato con molta cura.

Di questo si è parlato martedì sera nella sala gremita di Palazzo del Governatore e mercoledì mattina al Cinema Astra con gli studenti delle superiori, in due incontri promossi dal Comune di Parma, entrambi coordinati dal vicesindaco Nicoletta Paci, che hanno visto come protagonisti Mina Welby, co-presidente dell’associazione “Luca Coscioni”, Rodolfo Brianti, direttore medicina riabilitativa all’Ospedale Maggiore di Parma, e Sandro Spinsanti, direttore di Istituto Giano e rivista “Janus”.

Era l’occasione per presentare il registro del testamento biologico istituito e funzionante presso il Comune di Parma, ma è stata anche l’occasione per un dibattito tutt’altro che preconfezionato, per una riflessione a più voci, e voci diverse, su una tematica che non possiamo più ignorare: un tempo non lontano (fino a qualche decennio fa) la morte era un evento naturale, non c’erano strumenti come l’accanimento terapeutico o l’alimentazione artificiale per prolungare il battito del cuore in persone che si trovano in stato vegetativo permanente. Oggi tutto è cambiato: la vita può essere artificialmente prolungata per molto, spesso troppo, tempo.

I casi più eclatanti degli ultimi anni sono quelli di Piergiorgio Welby (la sua è stata la cronaca di una morte annunciata, quindi ha potuto esprimere senza dubbio le sue volontà sulle terapie a cui sottoporsi) e di Eluana Englaro, 17 anni di vita artificiale e una interminabile battaglia legale del papà Peppino per fa rispettare quella che lui sapeva essere la volontà della figlia, non formalizzata in alcun atto scritto. Ma quanti Piergiorgio ed Eluana ci sono oggi nei nostri ospedali? E soprattutto, chi può decidere per loro quando non sono più in grado di esprimersi?

Sono domande pesanti, che richiedono risposte meditate e articolate. Gli interlocutori al tavolo ieri sera, e anche i cittadini fra il pubblico, avevano opinioni, idee e soluzioni non coincidenti su registro del testamento biologico, ruolo dei medici, compiti e responsabilità dei familiari, modalità di espressione di volontà da parte degli interessati, soprattutto in presenza del fatto che spesso cambia molto la stessa volontà della persona fra quando firma un documento di fronte a testimoni a trent’anni in buona salute e quando viene colpita da un male incurabile o da demenza senile qualche decennio dopo, e non è in grado di dirlo. 

E ancora ci si chiede, fino a che punto può un medico applicare o non applicare un sistema di cure andando contro al scienza per rispettare una volontà espressa in modo pregresso? Mina Welby vorrebbe una legge dello Stato ben fatta e meditata, in linea con quelle di altri Paesi europei, Rodolfo Brianti ritiene che sia prioritario il rapporto fra medico e paziente (diretto anche indiretto) per rispettarne la volontà compatibilmente con i doveri della medicina; Sandro Spinsanti invita a riflettere e decidere di persona, a non delegare le decisioni “al cugino di Torino” che arriva all’ultima ora al capezzale del paziente, con la consapevolezza che “anche chi ci ama di più può farci soffrire”. Altri invocano il “delegato” o “l’amministratore di sostegno”

Tutti però concordano su alcune cose: serve una legge che indichi la strada lasciando piena libertà alle decisioni individuali (che vanno comunque rispettate), serve una riflessione individuale seria, non dettata dalla faciloneria per un evento che si presume lontano nel tempo, e soprattutto serve un rapporto diretto con un medico di fiducia, che sia possibilmente il custode e il portatore delle nostre volontà, possibilmente costruite insieme a lui, affinchè le “disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari” garantiscano a tutti una “morte dignitosa”, intendendo con ciò la più vicina a quella che ciascuno ha immaginato per sé.

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