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Cronaca

Un anno di Covid: "Tanti colleghi sono morti in battaglia"

Edoardo Picetti, responsabile delle Terapie Intensive, ha visto entrare la prima barella: "Nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe successo dopo: io sono stato fortunato"

È passato un anno, 365 giorni di affanno per combattere un nemico infimo. Che muta, si moltiplica, cambia anche se mantiene la sua essenza: il Covid fa ancora paura, si combatte la battaglia, ma senza soldati. Sul fronte ci sono i medici, dall’altro lato i malati. Una guerra che ha provocato solo nella nostra regione più di 10.000 morti, a Parma ha fatto registrare quasi 20.000 contagi. Numeri drammatici, che purtroppo non si arrestano. A un anno dal primo ricovero nel reparto di terapia intensiva, Edoardo Picetti, reponsabile delle Terapie Intensive, che quella prima barella l’ha vista entrare, tante cose non le ha mai dimenticate. Gli sguardi, i colori, la sensazione di impotenza e lo strazio. C’è un po’ di tutto nella sua testa. 

“Ricordo quel pomeriggio, era domenica. Penso alla divisa: rimasi subito colpito dalla vestizione. Non erano i nostri abiti naturali. Poi la partenza con il primo paziente; nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe successo dopo. Ho pensato subito: ‘chissà se posso tornare a casa’“.

Picetti, come si vive in trincea?

“Innanzitutto si pensa che sarebbe potuto capitare a te. Tanti colleghi non ce l’hanno fatta, sono morti in battaglia, diciamo così. Io mi reputo fortunato perché sarebbe potuto succedere a chiunque”.

Qual è la storia che porta nel cuore?

“Ce ne sono tante. Il giorno più carino è stato quando abbiamo fatto il primo trasferimento del primo paziente dal reparto di Terapia intensiva. È stato come vedere una luce alla fine di un tunnel. E poi man mano che il reparto si svuotava è stato un po’ come una vittoria. Tante volte abbiamo pensato che qualcuno, arrivato con un quadro clinico compromesso, potesse non potesse farcela. Quando invece i pazienti reagivano noi esultavamo”.

Cosa le ha insegnato quest’anno terribile?

“Personalmente ho imparato di più a vivere la vita, il tempo libero, a godermi la mia famiglia e i miei affetti”. 

E dal punto di vista professionale? 

“Dico che ci ha fatto fare un passo indietro e ci ha fatto essere più umili. Abbiamo capito che la medicina a volte non riesce a risolvere tutto”.

Oggi si può dire che fa meno paura?

“Oggi non so se c'è meno paura: il fatto che ci siano i vaccini e che si conoscano più cose sulla situazione non deve indurre le persone a comportarsi in modo non idoneo, non vuol dire che non dobbiamo rispettare le regole. Al momento non siamo in una situazione come quella dell'anno scorso però anche in questa seconda ondata ci sono state tante vittime. Deve ancora finire prima di tirare i bilanci”.

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