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Giovedì, 28 Marzo 2024
Economia

Cisl: "Il salario minimo? Rischia di permettere alle aziende di uscire dai contratti nazionali"

Angela Calò, segretario generale aggiunto di Cisl Parma e Piacenza: "Questa situazione peggiorerebbe la qualità della vita di milioni di lavoratori, che non avrebbero riconosciuti Tfr o tredicesima"

"Il salario minimo per legge rischia di permettere alle aziende di uscire dall’applicazione dei contratti nazionali e peggiorerebbe la qualità della vita di milioni di lavoratori perché molte aziende potrebbero decidere di uscire dall’applicazione dei contratti collettivi nazionali e molti lavoratori non avrebbero riconosciuti Tfr o tredicesima". Così Angela Calò, segretario generale aggiunto di Cisl Parma e Piacenza. 

"Cisl è favorevole al salario minimo ma deve essere attivato solo ed esclusivamente nell’ambito dei contratti nazionali per assicurare le voci aggiuntive che compongono la retribuzione complessiva, per esempio tredicesima e ferie.

La proposta in sé è positiva, ma difficile da applicare perché ci sono molti contratti che si sovrappongono: quale diventa il contratto leader? Complicato, con le norme attuali, anche perché non tutti i settori economici hanno contratti pattizi. E poi c'è il tema della rappresentanza: chi rappresenta chi, quali sono le parti datoriali più significative? Come si misura la rappresentanza delle imprese? Con chi facciamo gli accordi confederali, con quali associazioni? Abbiamo artigiani iscritti con le industrie e industrie iscritte con gli artigiani..

Secondo l’ultima analisi di Openpolis su dati Ocse, l’Italia è tra i Paesi con il salario più basso d’Italia: sindacato e aziende devono lavorare insieme per costruire una nuova politica dei redditi e la chiave sta in un patto triangolare che metta tutte le componenti del Paese verso la stessa direzione.

Dal canto suo, il governo deve impegnarsi a calmierare i prezzi energetici, abbattendo il carico fiscale sulle fasce medie e sui frutti della contrattazione orientando rifrorme e investimenti in modo partecipato. Le parti sociali devono rinnovare ed innovare i contratti, aggiornare i meccanismi di riallineamnento dei salati allìinflazione reale, spingere sul pedale della contrattazione di secondo livello per elevare e redistribuire la produttività. L’ Italia sta pagando l’assenza del rinnovo dei contratti che per alcune categorie è fermo da 15 anni.

Un salario monimo legale imposto dal’alto non è la via giusta perché rischia di portre fuori dalle tutele negoziali milioni di lavoratori. Ogni comparto ha un buon contratto collettivo di riferimento ed è da qui che bisogna partire: non servono commissioni di professori né una legge di rappresentanza: si vadano a vedere all’Inps le coperture contrattuali e si prendano a riferimento quelle più applicate.

Le aziende vanno sostenute in un percorso di aiuti e supporto, per esempio diminuendo le tasse alle imprese virtuose che investono su salute e sicurezza dei lavoratori, azione che però potrebbe non bastare se non si aumenta la produttività: dal 95 ad oggi sono aumentate le tasse ma non la produttività.

In Germania un buon contratto metalmeccanico arriva a 2400 mentre in Italia 1300: non è solo una questione di soldi ma del fatto che in quel Paese si investe per avere fabbriche migliori e, di conseguenza, migliore produzione."

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