Debutto di Ivanov, regia di Filippo Dini: Teatro Due, Parma il 14 e 15 febbraio 2015
TEATRO DUE, PARMA
Sabato 14 febbraio 2015, ore 21.00
Domenica 15 febbraio 2015, ore 16.00
“In ?echov il tragico appare sempre un po’ assurdo”, ha affermato Peter Brook ne Il punto in movimento (Ubulibri, Milano - 1988), ed è in questa dimensione tragica e allo stesso tempo assurda, grottesca, che il regista e attore Filippo Dini ha immerso il suo Ivanov, spettacolo prodotto da Fondazione Teatro Due con Teatro Stabile di Genova, al debutto in prima nazionale i prossimi 14 e 15 febbraio 2015 (ore 21.00 il sabato e ore 16.00 la domenica): una messa in scena con 9 attori (lo stesso Filippo Dini e Sara Bertelà, Nicola Pannelli, Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe), ciascuno con il suo doppio, in un’alternanza di ruoli che riunisce i due mondi dell’immaginario cechoviano, tragico e grottesco, o meglio, i due aspetti di quello stesso mondo che i personaggi sentono sgretolarsi sotto i piedi. E’ un’umanità alla fine quella che si agita o s’immobilizza in scena, che si dibatte, tra paralisi ed euforia; una società sull’orlo del baratro, che avverte l’arrivo di un’apocalisse che di lì a poco spazzerà via la realtà conosciuta (altri 30 anni infatti e sarà rivoluzione).
Il testo ha la nuova traduzione di Danilo Macrì, le scene e i costumi sono ideati da Laura Benzi, le luci disegnate da Pasquale Mari e le musiche scritte da Arturo Annecchino.
Prima delle sue grandi opere teatrali, scritta nel 1887 a 27 anni, in Ivanov ?echov racconta l’ultimo anno di vita di un uomo che fa i conti con la propria inadeguatezza verso il mondo e con l’irrimediabile perdita di ogni speranza nei confronti della vita. La sua lotta contro le forze esistenziali opposte che lo stritolano e lo ostacolano quotidianamente nei rapporti con i suoi amici, con i suoi nemici, con sua moglie, si dispiega in scena attraverso un’emotività e una brutalità dirompenti. L’uomo superfluo, come si autodefinisce Ivanov, che non riesce ad applicare le proprie energie alla vita e soccombe al proprio destino, è vittima delle sue stesse passioni; le sue aspirazioni intellettuali unite al perenne senso d’impotenza fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi.
Anna, sua moglie, per sposarlo ha abbandonato la propria famiglia e la religione ebraica, ma presto si ammala di tubercolosi. Saša, giovane figlia di facoltosi vicini, lo ama da sempre e dopo la morte di Anna tutto è pronto per le nuove nozze. Ma per Ivanov non c’è scampo, vittima di sé stesso e del proprio destino. Intorno a loro si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro: un microcosmo in cui gli uomini sono condannati all’esistenza, in cui ognuno tenta disperatamente di sopravvivere alla noia interiore e guarda al passato con pietosa indulgenza, figure grottesche che si logorano a vicenda.
Attraverso la figura dell’uomo inutile, personaggio ricorrente nella grande letteratura russa, che non riesce a spingere il proprio cuore oltre la paralisi del mondo, e la propria volontà oltre l’immobilismo, Ivanov racconta la crisi e il declino di un’intera società e di un’intera epoca.
“Di Ivanov si è detto e scritto moltissimo - racconta il regista Filippo Dini - e si è insistito sull’incapacità del protagonista di gestire i rapporti sociali e sentimentali, sul suo male di vivere e la sua insoddisfazione patologica, in breve si è molto discusso della sua depressione. Tutto ciò credo ci abbia un po’ allontanato dalla comprensione della sua vera natura. Ivanov trascina tutti nel tunnel nero dell’inattività, della paralisi mentale e spirituale, tutti lottano contro di lui o tentano di guarirlo, fino all’estremo sacrificio. Ivanov è il virus letale della sua società, è il simbolo della malattia che si genera all’interno di quel ristretto gruppo di esseri umani. Ma Ivanov è al tempo stesso anche la cura del suo mondo, obbligando tutti a confrontarsi con sé stessi, coi propri limiti, con la propria povertà, dando però ad ognuno l’occasione di salvarsi. Nessuno può rimanere estraneo a questo confronto, in scena e fra gli spettatori”. L’esortazione di ?echov sembra essere infatti quella che ciascuno di noi si confronti con il suo Ivanov interiore. Prosegue Filippo Dini: “la fine di Ivanov è la fine del nostro Ivanov, che abbiamo sentito scalpitare dentro ciascuno di noi, soffrire cercando di risollevarsi infinite volte; l’abbiamo visto credere in nuovo innamoramento e in una nuova speranza, combattere gli inetti, i volgari, i malfattori. Abbiamo avuto pietà della sua debolezza, del suo dimenarsi ridicolo e appassionato. Dobbiamo attendere con pazienza il suicidio del nostro Ivanov; non lo possiamo uccidere noi perché è imbattibile, dobbiamo aspettare che nella totale consapevolezza desideri di per sé stesso la propria morte. Solo così potremo godere della rinascita, solo così potremo tornare alla vita, alla speranza e all’amore.”
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