In nome del bene della nazione
In nome del bene della nazione. In nome della paura. Ci hanno e ci siamo fatti scorrere addosso tutto. Lentamente. Chi in silenzio, chi lamentandosi, chi cantando dal proprio balcone. Ora eccoci qui, remissivi ed arrendevoli, a urlarci gli auguri di un buon Natale di finestra in finestra. Condiscendenti e malleabili italiani, abbiamo accettato e reso normale una serie di illogiche, ridicole e vergognose azioni e violenze. Ci siamo fatti piccoli piccoli sotto gli occhi vigili dei droni che pattugliavano le strade, sotto gli inseguimenti in elicottero da parte della Guardia di Finanza di pedoni rei di passeggiate solitarie sulla spiaggia, sotto le multe elargite con assoluta cecità, ed in qualche frangente, vero e proprio accanimento. Non abbiamo alzato la voce ai milioni di euro per mascherine fantasma, ai tamponi inizialmente latitanti ed ora dal costo assolutamente ingiustificato, a più della metà dei boss mafiosi, scarcerati per il rischio contagio dal Ministro della giustizia Bonafede, ancora ai domiciliari, nonostante dovessero essere riportati in cella. Abbiamo protestato tra di noi, di viso in viso, ai fondi destinati all’istruzione impiegati per banchi monoposto a rotelle, usati in tragicomici autoscontri, agli ospedali che negano il rilascio per ottenere maggiori fondi pro Covid ed a quelli in gravissima carenza di medici e personale a causa della positività al virus riscontrata da parte di questi ultimi, virus, tra l’altro, contratto nella struttura stessa per inadeguate condizioni igienico-sanitarie. Abbiamo guardato alla nostra fetta di mondo, insospettendoci di fronte a quei decessi avvenuti per cause estranee al Covid ma spacciati come tali, come il caso di un giovane morto in un incidente stradale, per cui, al momento del riconoscimento, dissentendo la madre dalle voci ufficiali che lo mostravano come vittima della pandemia, le è stata data la risposta che, “si scrive quello che viene detto di scrivere”. Coprifuochi, regole del 6, del 4, degli under 14, chiusure nei festivi, settori di supermercati chiusi nei weekend, spostamenti tra le regioni impediti, distanziamenti vani e falliti, famiglie ed innamorati lontani per mesi, restrizioni che arrivano nella notte o troppo tardi, quando un’intera nazione s’era già organizzata sulla base del decreto in vigore. Norme che si rivelano inadatte, insensate, nella solita inutile via di mezzo italiana, che non risolve ma complica. Agli italiani restano le stime delle difficoltà dell’indomani. L’incertezza, forse forse ancora un po’ di speranza. Tra incalcolabili sprechi, mangerie, scandali e ritardi, qualche regalino concesso pietosamente sottoforma di bonus o posticipazioni, l’Italia, sempre più in difficoltà, deve tener conto non solo delle vittime del Covid, ma di tutte le vite stroncate dalla povertà o dal terrore di essa, quegli imprenditori e tutte quelle persone fragili cadute sotto i colpi della reclusione e della depressione, fomentata da un terrorismo psicologico assolutamente totalizzante, dominatore di qualsiasi servizio d’informazione e luogo. Per circa un anno ci hanno sovraccaricato fino all’esaurimento, ad ogni ora, sotto ogni forma mediatica, visiva, uditiva: televisione, giornali, radio, manifesti, pubblicità, annunci in luoghi pubblici, voci registrate tra le corsie dei supermercati. Gli italiani, ben lontani dall’insurrezionalismo francese o quello tedesco dei negazionisti scesi in piazza, per quasi un anno hanno accettato qualsiasi disposizione sia gravata loro addosso, eccezion fatta per le proteste pacifiche nate da alcuni commercianti napoletani lo scorso ottobre, di cui poi, come spesso accade, si sono approfittate parti violente che avevano ben poco interesse nelle vicende riguardanti il virus. In una restrizione crescente della propria libertà, che appariva, ed appare, illegittima, è nota la voce del Giudice di Pace di Frosinone, che attraverso la propria sentenza, (n.516/2020), afferma come la dichiarazione del 31 gennaio sia addirittura incostituzionale e priva di valore legale. Il lockdown impostoci mancherebbe di una valida copertura legislativa e statutaria, dal momento che la legge 225/1992, la quale ha istituito la Protezione Civile, consente la dichiarazione di stato d’emergenza in caso di calamità naturali o eventi calamitosi derivanti da attività umane, dunque, non includendo il rischio sanitario. Inoltre, la restrizione alla libertà di circolazione può essere imposta a luoghi circoscritti, ad esempio a zone pericolose perché infette, ma non può implicare un obbligo di permanenza domiciliare, poiché il trattenere cittadini nelle proprie abitazioni equivale al sottoporli ad una sanzione di tipo penale, contravvenendo all’art.13 della Costituzione, per cui misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Per concludere, poteri straordinari al Governo sono concessi solo in caso di guerra. A voler essere malfidenti sembra quasi di scorgere una manovra della paura, un po’ come accadeva ai grandi tempi di Roma; a una situazione d’emergenza subentrava un dittatore con poteri illimitati, il quale, tuttavia, restava in carica non più di sei mesi. Tempistiche a parte, sembra ricordare qualcosa. “Ora sacrifici per un Natale sereno”, affermava in ottobre il Presidente del Consiglio Conte, e di sacrifici, gli italiani, sembrano averne fatti fin troppi, eppure ciò che ci ha dato dicembre è stata l’uscita del Ministro per gli affari regionali Boccia, il quale, riguardo all’imposizione del coprifuoco a Natale, ha così affermato, “Gesù può nascere 2 ore prima”. A fronte di tante e tali restrizioni, dei sopracitati sacrifici, non è tanto il contenuto, sfociante nel ridicolo, di una tale affermazione, quanto l’apparenza d’una provocatoria presa in giro nei confronti di una popolazione mentalmente stanca, e senza dubbio provata. La democrazia è morta già da tempo, inutile invocarla. Nostre sono norme che divengono pretesto per una sconsiderata caccia alle streghe, tra vicini che denunciano i propri vicini. Restrizioni che vietano il ricongiungimento con i propri affetti a Natale, limitazioni che vengono allentate nei momenti sbagliati, bloccando prima e liberando a rasento delle festività, provocando ben immaginabili assembramenti, ed un innalzamento dei casi prima del periodo natalizio. Eppure eccoci di nuovo silenziosi. Divisi, perfino nel momento in cui più si dovrebbe avere speranza di una riunione di tutti gli affetti. Limiti geografici, differenziazioni, 70.000 unità di polizia, dal costo mostruoso, a controllare che ognuno stia entro i propri limiti, in un sentore di guerra nell’aria, per cui rivedere i propri cari diviene motivo di sanzione penale. Questo è l’atto finale imposto ad un paese così duramente colpito. Ed a quelli che vogliono la salute al vertice, considerando un ricongiungimento senza barriere come richiesta secondaria, io invito ad esaminare se sia davvero il ricongiungimento con i propri cari il problema, se non lo siano piuttosto tutte quelle suddette inutili restrizioni a metà via, mesi e mesi di scelte più o meno discutibili, se non lo sia soprattutto chi al buon senso non sappia e non voglia starci; esempio banale, tutti coloro i quali non indossano la mascherina. Ed ancora, se non lo sia chi non possiede quel senso d’atavica paura e protezione che dovrebbe essere in tutti noi, che ci fa aver cura l’uno dell’altro. Infine invito ad esaminare, dall’alto, questo 2020, se si sia trattato, sempre ed in ogni situazione e provvedimento, di porre davvero la salute dei cittadini prima di tutto, e di mettersi in chi, lontano dai propri cari per troppo tempo, sfibrato da una dolorosa attesa e stato d’incertezza costante, si vede negato anche questo ricongiungimento. Terminerei ricordando come il più delle volte è la salute mentale, la salute di un animo forte perché sereno, che assicura la vita. Ma in nome del bene della nazione, in nome della paura, questo Natale verrà garantita la salute del fisico, nell’assordante solitudine di molte afone abitazioni. Solo un augurio; dove e come si può, brindiamo al nuovo anno. Non iniziamo in silenzio questo 2021. Gloria Rossi Parma, 21 dicembre 2020