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Buffon e quella corsa che ha fermato il tempo

Il capitano, protagonista nella vittoria di ieri sera con il Benevento, ha stregato tutti: fame, voglia di vincere e spalla per tutti i compagni. Il ritorno da leader del numero uno

Della vittoria per 1-0 all’ultimo respiro contro il Benevento, al di là dei gesti tecnici di Mihaila e Vazquez, resta un’immagine iconica: la corsa a perdi fiato di un ragazzo di 43 anni che dopo aver vinto 10 scudetti, una Coppa Uefa, un Mondiale ha liberato la tensione dei novanta minuti in un urlo di gioia con le braccia spalancate a protezione di una ciurma che ancora non è squadra, ma che sotto i suoi consigli diventerà presto tale. L’elenco delle vittorie di Gigi Buffon è lunghissimo, eppure dopo una carriera straordinaria (dominante nella figura del portiere, dello sportivo, del leader carismatico e tecnico), quel ragazzo non ha ancora perso la fame ed è diventato il simbolo di un romanticismo calcistico che forse si era smarrito nella retorica dei paroloni. E dei discorsi da sofisti che ultimamente si fanno, perdendo il contatto con la realtà in cui si vive.

Perché alla fine è quella che conta. Cento metri, tanti dividono la porta sotto la curva Sud, riservata ai tifosi ospiti, dalla curva Nord del Tardini, quella che ieri ha ospitato qualche migliaio di supporters che non vedevano l'ora di festeggiare una vittoria, inebriati prima del gol dalle parate di Buffon, dalla sicurezza, dalle parole di conforto riservate a ogni compagno, dai consigli ai più giovani sfociati nella gioia per un 1-0 al Benevento. Cosa sarà mai un 1-0 al Benevento per un’icona del calcio mondiale come Buffon? Bisognerebbe ammirare le immagini della sua fuga liberatoria al minuto 96’: naturalezza, gioia contenuta nei pugni stretti, fame custodita nell'agonismo che gli ha trasfigurato il volto, grinta trasmessa negli abbracci donati a diversi compagni, denti stretti e orgoglio da brandire urbi et orbi.

Perché - è qui è l’essenza del messaggio di Gigi Buffon - anche a 43 anni non ci si può sentire arrivati. Lo aveva detto all’inizio della sua avventura: “Parma è l’unica piazza che può farmi sentire vivo, farmi vivere certe emozioni”. E, se mai ce ne fosse stato il bisogno, la notte con il Benevento ha mostrato quelli che sono i paradigmi del Gigi-pensiero. Che poi è azione, controllo, potenza comunicativa. Efficacia. Un pensiero che pervade - si spera - anche l’animo dei più giovani, stregati da Buffon, migliore in campo, persuasi da Gigi: il compagno di tutti. Che va oltre il gesto tecnico di Vazquez, illuminante, al di là dello stop di petto di Mihaila con il quale ha di fatto segnato un gran gol.

Gigi ieri sera ha fermato il tempo. Buffon vent’anni fa diventava Buffon, ma in fondo è sempre rimasto Gigi. E da quel giorno, quello di Parma-Verona del 10 giugno del 2001 (la sua ultima partita al Tardini con la maglia del Parma) sembra non essere passato neanche un giorno. C’era il Tardini con i tifosi: c’è ancora. A qualche metro c’era la sua bottega di fiducia, rimasta intatta ma forse più stretta perché piena di foto di lui che mostra maglie e trofei, c’erano i bimbi in attesa della foto fuori. Ci sono ancora, sono padri che accompagnano i loro figli ai quali trasmettono la voglia di Parma. C’era l’orgoglio che aveva una città fiera di mostrare il suo campione. C’è ancora. E c’era Gigi che diventava Buffon, ma che in fondo è rimasto sempre Gigi. Ed è quel ragazzo che a 43 anni, dopo dieci scudetti, una Coppa Uefa e un Mondiale, ha corso tutto il campo per abbracciare la sua gente. E stringerla tra le sue braccia che hanno sollevato trofei e scritto pagine di storia.

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