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La crisi del Parma nei numeri: la squadra è ancora priva di un'identità

La partita di Crotone chiude un campionato che fino a qui non è apparso brillante

Crotone ha tracciato un solco. Da una parte c’è la convinzione di potersi tirare su, in fondo la situazione non è compromessa – a rigor di logica – e il Natale non sarà sereno ma nemmeno funestato da obblighi di classifica, dall’altra la fredda esegesi di numeri che inchiodano il Parma, nel senso ampio del termine. Nel solco, tra una parte e l’altra, il tracciato è profondo e dentro c’è una squadra senza idee, lontana dalla creatura che aveva stupito quasi tutti una dozzina di mesi fa e che – di questi tempi – viaggiava a una velocità di crociera doppia. I punti erano 18, sei in più rispetto a quest’anno infausto, con una posizione di classifica a ridosso dell’Europa. L’ottavo posto di un anno fa contro il sedicesimo attuale (occhio che lo Spezia, fermo a 11, ha una gara in meno e dovrà vedersela con il Genoa ultimo in classifica), stropiccia l’immagine di un Parma che ha cambiato per cambiare in meglio, ma ha finito per peggiorare la situazione. Il calcio è quel mondo in cui i cicli finiscono, si rinnovano, la musica cambia e il risultato non è mai un’equazione certa. L’imprevedibilità e mille altre componenti finiscono sempre per sparigliare le carte, ma fondamentalmente non si prescinde mai dai numeri.

E i numeri sono lo specchio di un fallimento, non annunciato, fino a qui. Quando le cose vanno male, come sta succedendo al Parma, le colpe vanno divise e sarebbe ingeneroso caricare solamente le spalle larghe di Liverani. Il tecnico è apparso in difficoltà, per sua stessa ammissione – da uomo di intelletto qual è – più volte si è messo in discussione come a dire: probabilmente non riesco a trasferire questo o quel concetto. E lo si vede in campo: il gruppo è teso, non si muove da squadra, la tensione alle volte sfocia in battibecchi plateali, gesti di stizza distribuiti tra giocatori e giocatori, giocatori e allenatore. Il tempo ha praticamente giocato contro, perché in 14 partite di progressi se ne sono visti pochi, i gol fatti sono appena 13 e di questi zero sono stati segnati dai centravanti: Inglese e Cornelius hanno chiuso al primo giro senza una briciola in tasca, l’inverno è lungo e così si rischia di alimentare malcontento e nervosismo, lo stesso che ha pervaso gli animi della squadra battuta a Crotone. Se i gol fatti sono 13, meno di uno a partita, i gol subiti sono 25. Due a gara, se si considerano i quattro clean sheet stagionali (Fiorentina, Benevento, Cagliari e Hellas). Impietoso il paragone con l’anno scorso, altre metodologie, altro tipo di lavoro con alla base una diversa filosofia. Certo è che se la via per salvarsi – decantata a inizio stagione – doveva passare per il bel gioco, siamo abbastanza lontani. Perché di bel gioco (che poi vai a capire cosa si intende per bel gioco), non se n’è visto.

Il fatto che il pubblico giri abbastanza lontano dal Tardini, non chiaramente per scelta ma per imposizione della maledetta pandemia, da un lato aiuta la squadra (immaginiamo i mugugni, più che legittimi subissare le urla di Liverani), dall’altro la deresponsabilizzano un attimo, ne appiattiscono la voglia di reagire, per lo meno di dimostrare che l’orgoglio c’è  e non è sopito. Che non si sia trovata la via maestra lo dicono sempre i numeri. L’ingresso di Lautaro Valenti nella gara con il Crotone segna che Liverani ha utilizzato 29 calciatori in 14 partite, praticamente tutta la rosa a disposizione, eccezion fatta per Nicolussi Caviglia. E se da un lato è sintomo di imbarazzo della scelta, dall’altra si certifica come in determinati ruoli, il Parma non abbia individuato i giocatori chiave. Perché al di là delle alternative, la spina dorsale che consegna alla squadra una propria identità ancora non c’è. E questa, assieme alla mancanza di un piano di gioco, è un po’ la nota dolente, l’aspetto preoccupante delle ultime uscite. Che segnano un’involuzione dettata anche dal ritardo di forma dei nuovi. Che più che dare una mano alla squadra (Osorio a parte) la tolgono. “Devo capire io – ha detto Liverani – quando un giocatore è pronto o no per giocare”. Beh, a guardare Sohm e compagnia, direi che ancora siamo lontani da quanto detto dall’allenatore.

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