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Dal 18 maggio 2018 al 18 maggio 2022, dalla B alla B: com'è cambiato il Parma

Nessun segno di continuità con il passato, spazzato via da un cambiamento epocale che ha prodotto pochissimi risultati positivi

C'era una volta un Parma che vinceva. Un Parma che finiva al secondo posto il suo campionato di Serie B e festeggiava oggi, come quattro anni fa il 18 maggio, il suo ritorno in Serie A. Con la 'coda' d'orata dello slogan 'Come noi nessuno mai'. Per sottolineare l'impresa straordinaria di una squadra che aveva bruciato le tappe e nel giro di tre stagioni si era lasciata indietro gli inferi della Serie D, passando per le forche caudine della C prima che dal purgatorio della B gli si aprissero le porte del paradiso della Serie A. In un viaggio dantesco durato il tempo che serviva per superare i cerchi concentrici del calcio, il Parma ha tracciato un solco e - come i Rangers che stasera si giocheranno la vecchia Coppa Uefa (ultima italiana a vincerla, neanche a farlo a posta, il Parma) - ha fatto quello che doveva fare. Di quel Parma non è rimasto nessuno. L'unico emelemtno di congiunzione è la figura del capitano Alessandro Lucarelli, oggi direttore dell'area prestiti. Segno che è finito un ciclo e ne è cominciato un altro. 

E' finita l'avventura dei sette soci, bravi e fortunati a scegliere gli uomini e i giocatori per disegnare un capolavoro; è finita l'epoca del direttore Faggiano, architetto del miracolo e bravo a plasmare la squadra consegnata a Roberto D'Aversa che ha guidato il gruppo alla vittoria. Il covid insieme a qualche scelta sbagliata hanno costretto Barilla e gli altri a mollare gli ormeggi. Era scritto da sempre nel programma dei sette soci: non appena fosse spuntato l'acquirente giusto al quale affidare il Parma, nel segno della continuità, le quote del club sarebbero state cedute. E così è stato. L'arrivo di Kyle Krause, uomo d'affari che nell'Iowa ha costruito un impero, non è stato fortunato, diciamo così. Da quando è proprietario del Parma, KK si è goduto pochissimi momenti felici. Il suo modo di pensare e di intendere il calcio sembra essere così lontano dalla realtà che circonda la squadra, il club e i tifosi che alle volte si fatica a comprendere delle scelte. 

In quattro anni, dal 18 maggio del 2018 al 18 maggio del 2022, sono cambiate tante cose. Società, filosofie, risultati. E investimenti. Nel cambiamento epocale, segnato da una crisi economica spaventosa frutto di una pandemia, va sottolineato anche il modo di pensare tipoco del nuovo corso. Ad esempio: la formazione che ha chiuso quel campionato, quattro anni fa, al Picco di La Spezia era composta per dieci undicesimi da italiani. Tranne Sierralta, in prestito dall'Udinese, il Parma disponeva di una squadra costruita da gente che in Serie B aveva detto la sua a più riprese. Da Frattali a Calaiò (trascinatore in quella stagione), da Lucarelli (anima del gruppo) a Ceravolo, da Gazzola a Munari e Dezi e Ciciretti. Quattro anni dopo, un'era nel calcio, il Parma che ha salutato la sua gente a Crotone di italiani ne aveva solo due: Delprato e Roberto Inglese.

Un'apertura verso il mondo, in questo periodo, è da valutare e pure da apprezzare. Ma il calcio resta comunque un microcosmo che ha dei suoi dettami, delle regole non scritte e che andrebbero rispettate quando si vuole intraprendere un percorso nel segno delle vittorie. Il Lecce, che ha dominato il campionato vincendolo all'ultima giornata, si è circondato di 15 calciatori stranieri, collocandoli intorno a un nucleo storico di giocatori che in Serie B ha sempre spostato gli equilibri: da Lucioni a Coda, da Tuia a Gargiulo, a Faragò (arrivato a gennaio), a Di Mariano. A fronte dei tanti soldi spesi, dei sacrifici ammirabili, le vittorie del Parma sono state pochissime. Il confronto fa quasi arrossire, ma deve servire per ripartire con il piede giusto al più presto. 

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