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Il campetto dell'Oratorio, San Giovanni e la corsa agli autobus per la Romulea: la Roma di Liverani

L'allenatore del Parma torna a casa da avversario: tra i posti del cuore che il tecnico frequenta c'è anche la scuola calcio Tor Tre Teste, dove gioca il figlio Mattia, centrocampista come lui

Quando rientra a Roma, nella testa di Fabio Liverani parte una carrellata di immagini accompagnate da una colonna sonora che ha segnato anche la sua carriera, oltre che la sua vita. Canzone alla quale l’allenatore è rimasto legato: nel Juke Box che campeggia nel salotto di casa sua c’è in bella vista il disco di Renato Zero, e il giradischi graffia sempre lo stesso lato del vecchio 45 giri. ‘I migliori anni della nostra vita’ è un po’ la canzone che lo ritrae, che lo racconta anche – se volete – che racconta la sua Roma, città eterna che eternamente gli rimarrà dentro. Un legame indissolubile, verace. Che solo chi nasce in un posto può portarsi dentro per tutta la vita.

Domenica contro la Roma, nello stadio che lo ha visto dominare la scena dall'altra parte del Tevere, tornerà da avversario, per la prima volta da quando allena il Parma. Ma avversario della sua città, Liverani non si sentirà mai. Perché Roma è famiglia, amici, passato e presente. Roma è passione (quella giallorossa) da sempre, Roma è però anche contraddizione: un tifoso giallorosso che diventa il capitano della Lazio. E si afferma con quella maglia fino all’avvento di Lotito. Certo che il pallone di Liverani ne ha avuti di rimbalzi strani, rimbalzi controllati con la sua tecnica raffinata. Roma è casa, quella dove abitava con la famiglia nel quartiere di Casalotti, dal quale si trasferisce verso Torpignattara. Roma è pure l'oratorio di Santa Maria Ausiliatrice, dove Fabio ha cominciato a giocare a calcio e probabilmente neanche immaginava di diventare Liverani. Al Tuscolano, dove incrociato i primi sguardi con il pallone, lo ricordano ancora tutti. Personalità spiccata, simpatia. Fabio era ruspante già allora, un po’ di quella sana esuberanza romanesca l’ha conservata anche da allenatore, malgrado questo tratto passi in secondo piano dato il suo savoirfaire solito che in panchina si nasconde sotto le smorfie di un indemoniato.

Non li dimentica quei posti del cuore, Liverani: il campo da calcio della Romulea, dietro San Giovanni, dove mamma Halima finché ha potuto lo ha sempre accompagnato. Passavano da lì anche le corse degli autobus 409 e 85, la retta costava più di 350 mila lire, Liverani ha pagato solo la prima rata, per la seconda ha provveduto la società. In segno di riconoscenza della sua bravura, riconosciuta da tutti, incamerata su campi sterrati, dove gli avversari oltre a quelli fisici erano anche buche e sassi. Bisognava imparare anche dribblando quelli. Spesso lo ripete ai ragazzi della scuola calcio Tor Tre Teste, via Candiani 12, Prenestina. In qualche angolo di quella struttura spunta la maglietta del suo collaboratore Coppola, prigioniera in una cornice. E’ la numero 5, la stessa che suo figlio Mattia – centrocampista come il padre – indossa adesso. Nella sua scuola calcio lo vedono tutti come un mentore, un punto di riferimento, uno presente anche se distante, uno che dà consigli. Appena può, Liverani torna nei posti del cuore, nella sua Roma. Che vuol dire tanto per lui.

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