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Parma, il progetto avanza: ma i numeri certificano un passo indietro

Rispetto al primo anno di Serie A dopo la rinascita ci sono delle differenze sostanziali

“Dopo la Roma avremo alcuni scontri diretti, speriamo in quel periodo di essere diventati una squadra per giocarcela alla pari e poi vedremo alla fine del girone d’andata questa squadra quanto sarà cresciuta”. Non più tardi di sabato sera, dopo lo 0-0 contro la Fiorentina che ha visto vincere solo la noia, Fabio Liverani sibilava l’augurio significativo che denuncia – di fatto – una mancata identità da parte del suo gruppo di giocatori che, a detta dello stesso allenatore, non è ancora diventato una squadra. Al netto delle problematiche da affrontare in questo anno strano, complesso, dove mancano certezze che minano la continuità nel lavoro, denunciando nello stesso tempo difficoltà nell’organizzazione e nella programmazione, che salta in aria a causa del coronavirus un giorno sì e un giorno no.

Il contesto nel quale si colloca il Parma di Liverani è un po’ questo: il tecnico crociato è arrivato con una missione da compiere. Lavorare per migliorare alcuni aspetti, nel gioco, nell’atteggiamento della squadra. Salvarsi – come dice lui – proponendo un calcio diverso. Che sia meglio o peggio rispetto al passato lo dirà il buon gusto di ognuno, almeno per quello che si vede dalla televisione, visto che lo stadio a causa della pandemia rimane off limits. Ma i numeri certificano rispetto al primo anno di Serie A un passo all’indietro. Dopo sette partite, nell’anno domini disgraziato 2020-21, i punti sono sei. Frutto di una vittoria, tre pareggi e tre sconfitte. Otto i gol fatti, tredici quelli subiti, penultimo posto assieme al Crotone (peggio solo il Genoa di Maran) per la media dei tiri in porta. 2,7 a partita. Che se volete è pure un dato positivo. Per i tiri in porta a partita, i gol (otto) segnati restano comunque un buon numero. E’ il resto che sa di poco per una squadra guidata da un allenatore con addosso l’etichetta dell’offensivista, o del giochista. Resta stucchevole il dibattito che li pone di fronte ai risultatisti, ma tant’è.

I numeri erano migliori nella prima esperienza in Serie A, quando dopo sette partite i punti erano dieci, frutto di tre vittorie (una a San Siro contro l’Inter), tre sconfitte (contro Juventus e Napoli), e un pareggio alla prima con l’Udinese. Un gol fatto in meno, sette. Ma anche cinque gol subiti in meno rispetto ai tredici di questo inizio di campionato. Che vede il Parma al quindicesimo posto, a pari punti con la neopromossa Benevento e davanti a Torino, Genoa, Udinese e Crotone. Al primo anno di Serie A dopo la rinascita e dopo sette partite, i crociati erano sorprendentemente all’undicesimo posto. Anche quella fu una stagione con una vigilia travagliata. L’incognita della categoria (dopo la promozione) incombeva a Collecchio, a causa della boutade messaggi che ha tenuto con il fiato sospeso la società fino al 9 agosto. Obbligandola a fare un determinato mercato. Costringendola a perdere qualche giocatore per strada e a prenderne altri, tutelandosi con i cosiddetti piani B in caso di retrocessione. Qualche analogia c’è.
 

La fatica di programmare, di avere a disposizione facce nuove e di affrontare il salto di categoria con le sole armi della determinazione e dell’impeto. Della fame da neopromossa. Ma sono tante anche le differenze. Oltre al rendimento, la somma che la nuova proprietà ha potuto serenamente riversare sul mercato per assicurare a Liverani una rosa più giovane e adatta a esprimere al meglio il suo gioco, è stata notevole. Detto che quando si cambia proprietà può starci un periodo di sbandamento, le casse del Parma hanno una diversa disponibilità adesso. Sono stati fatti percorsi di consolidamento cominciati con Nuovo Inizio, un lavoro superlativo che ha consegnato a Kyle Krause una società chiavi in mano, pronta per essere riprogrammata. La salvezza resta l’obiettivo primario. E il tempo chiaramente gioca dalla parte del Parma. Per adesso si è visto poco, con tutti i problemi che il tecnico ha dovuto superare chiedere di più sarebbe quasi impietoso. Ma non riconoscere i problemi sarebbe a questo punto anche preoccupante.

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