Condannato a 3 anni e mezzo per bancarotta a sua insaputa: gli atti inviati ad un avvocato mai nominato
Alla base della storia dell'imprenditore Bruno Milazzo c'è un errore della cancelleria del Tribunale di Parma
C'è un errore della cancelleria del Tribunale di Parma all'origine della vicenda che ha coinvolto un imprenditore di 60 anni, Bruno Milazzo, processato per sette anni a suo insaputa. Risultava, infatti, la nomina di un difensore di fiducia a cui era stato inviato l'avviso del procedimento. Il legale, non avendo avuto alcun contatto con l'imputato, ha subito rinunciato al mandato.
I carabinieri gli bussano a casa per notificargli l'ordine di esecuzione di una pena a 3 anni e 6 mesi di reclusione, per l'accusa di bancarotta fraudolenta, e scopre di essere stato processato per 7 anni, in tre gradi di giudizio, e condannato per una vicenda di cui non sapeva nulla.
Protagonista dell'originale vicenda è l'imprenditore favarese Bruno Milazzo, 60 anni, che ha rischiato l'arresto per una vicenda giudiziaria di cui non si è mai potuto difendere perché, per un errore della cancelleria del tribunale di Parma, risultava la nomina di un difensore di fiducia a cui era stato inviato l'avviso del procedimento. Il legale, non avendo avuto alcun contatto con l'imputato, ha subito rinunciato al mandato.
Un successivo abbaglio del giudice, che lo ha rinviato a giudizio senza tenere conto del suo disimpegno e, quindi, rinnovare le notifiche, ha reso nullo l'intero processo arrivato fino alla Cassazione.
Il procedimento, iniziato nel 2016, periodo in cui Milazzo esercitava l'attività di imprenditore in Emilia Romagna, si è poi concluso con la sua condanna. Il favarese, dopo avere ricevuto l'ordine di esecuzione della pena, si è rivolto al suo "vero" legale Angelo Nicotra per evitare l'arresto e per chiedere la revoca della sentenza.
La condanna, essendo inferiore ai 4 anni, non prevede l'arresto immediato per l'esecuzione ma consente di chiedere una misura alternativa come la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova. Parallelamente è stata chiesta alla Corte di appello di Palermo la revoca della sentenza che è stata accordata.
