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Ospedale di Parma: Emofilia, uno studio del Centro Hub di Parma ricostruisce 20 anni di storia della malattia

L’articolo pubblicato sulla rivista internazionale “Haemophilia” ha cercato di valutare se l’aumento dei casi sporadici rispetto a quelli con una storia ereditaria già nota fosse anche il risultato di scelte procreative più consapevoli

Importanza fondamentale dei Registri regionali sulle Malattie rare, osservazione e analisi dei casi di Emofilia e maggiore conoscenza nei confronti della malattia. Sono questi i principali aspetti messi in risalto da una pubblicazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma sulla rivista scientifica internazionale “Haemophilia”. Lo studio, condotto dall'equipe della struttura semplice dipartimentale Emofilia e Malattie Emorragiche Congenite dell’ospedale di Parma, diretta da Annarita Tagliaferri, ha analizzato i dati raccolti in più di 20 anni (2001-2022) in un’ampia casistica di donne portatrici di emofilia, seguite dalla rete specialistica della regione Emilia Romagna, il Centro di riferimento regionale Hub di Parma, e i centri spoke di Bologna e Cesena.

La ricerca si è focalizzata sulle donne, generalmente portatrici sane e senza sintomi emorragici, poiché rivestono un ruolo centrale in questa patologia, sia per la possibilità di trasmetterla alla progenie, sia per le implicazioni delle loro scelte riproduttive, in quanto madri, figlie o sorelle di individui affetti.

Lo studio, grazie alla stretta collaborazione con l’unità operativa di Genetica medica dell’Ospedale di Parma, diretta da Antonio Percesepe, e dei centri di Bologna e Cesena    si è focalizzato su questi aspetti, partendo dall'osservazione che si è registrato nel tempo un notevole incremento dei casi cosiddetti “sporadici” di emofilia, vale a dire quelli senza storia familiare nota della patologia, per cui l’individuo diagnosticato risulta il primo affetto in quella famiglia, a fronte dei casi “familiari”, cioè membri di una famiglia in cui altri affetti da emofilia sono già noti e diagnosticatiUn aspetto questo ancora non sottolineato in letteratura, dove si riporta generalmente che i casi sporadici rappresentano il 30-50% di tutti i casi diagnosticati, mentre i dati raccolti in Emilia-Romagna, grazie alla disponibilità del Registro Regionale delle Malattie Emorragiche Congenite, sviluppato e gestito dal Centro Hub di Parma, hanno evidenziato che negli ultimi 20 anni la percentuale dei casi sporadici ha raggiunto il 73%.

Il nostro articolo - spiega Federica Riccardi biologa e prima firmataria della pubblicazione - ha cercato di valutare, pertanto, se l’incremento dei casi sporadici possa essere stato il risultato di scelte procreative più consapevoli delle donne portatriciNegli ultimi anni, infatti, i progressi della diagnostica molecolare e prenatale hanno consentito alle donne di optare per un ampio range di scelte riproduttive, impensabili fino a qualche decennio fa.  Attraverso un’analisi approfondita – conclude Riccardi - abbiamo dimostrato che l’aumento del numero di casi sporadici è la conseguenza delle scelte delle donne, venute a conoscenza del proprio stato di portatrice, rispetto alle gravidanze. Il vissuto della malattia, con l’impatto psicologico e la gestione quotidiana di un figlio affetto, orienta le donne verso la decisione di non affrontare ulteriori gravidanze o di optare per procedure prenatali invasive e, in casi rari, verso tecniche di diagnosi pre-impianto”.

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