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La coca dei cartelli colombiani pagata dall'Ndrangheta con i soldi cinesi, chat criptate e corrieri: ecco come agiva il gruppo che aveva il cuore a Parma

Le carte dell'operazione 'Aspromonte Emiliano'. A Parma arrestati due 32enni e un 43enne. I boss in Emilia gestivano tonnellate di cocaina, destinate al mercato nazionale. Intercettati mille telefoni

La cocaina dei cartelli colombiani (che arrivava a quintali) pagata dall'Ndrangheta con il denaro in contanti degli imprenditori cinesi, soldi che venivano poi restituiti attraverso i bonifici su alcuni conti correnti intestati a gestori occulti di società in Cina e ad Hong Kong. Chat criptate - attraverso la piattaforma Sky Ecc, poi smantellata dagli inquirenti dell'Europol - utilizzate dagli 'ndranghetisti per scambiarsi informazioni relative ai carichi di droga ("Ho 60 chili di cocaina a Madrid, 25 chili a Barcellona").

Una fitta rete di persone vicine alle cosche di 'Ndrangheta reggina (‘ndrine Romeo “Staccu” e Giorgi di San Luca) e crotonese (Locale di Cirò Marina), alcune delle quali, dalla provincia di Parma, gestivano lo spaccio della droga lungo tutta la penisola, dando indicazioni alla rete di pusher, in particolare per quanto riguarda il trasporto e la logistica che avveniva - dopo lo smistamento dai porti di Anversa e Rotterdam - attraverso aziende e corrieri compiacenti e false bolle di accompagnamento.

A Parma tre arresti: in manette due 32enni e un 43enne 

L'organizzazione che aveva il suo cuore tra Parma e Reggio Emilia, smantellata dalla guardia di finanza che ha eseguito 41 misure cautelari dopo le indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna e coordinate dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, secondo quanto emerso dalle indagini, agiva in maniera determinata e professionale. Nella nostra provincia le manette sono scattate per tre persone: due 32enni e un 43enne, considerati vicine alle 'ndrine reggine e crotonese che, sempre secondo l'accusa, si sarebbero occupate di smistare la droga in tutta Italia. 

Quintali di cocaina dalla Colombia a Parma pagata con i soldi dei cinesi 

"Operazioni difficilmente tracciabili" ha sottolineato durante la conferenza stampa Fabio Ranieri, comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna "abbiamo associazioni calabresi con una rete di acquirenti di droga basata in Emilia-Romagna e proveniente dalla Colombia che veniva pagata tramite i cinesi con un vorticoso e velocissimo sistema". In Emilia-Romagna sono 18 le persone finite in carcere, una persona è finita ai domiciliari e per un altro è stato emesso l'obbligo di dimora: si tratta di italiani, cinesi e albanesi. Sempre in Emilia-Romagna era attivo il capo dell'organizzazione, Romeo Giuseppe, che agiva da broker, già latitante in Spagna e in carcere a Civitavecchia. 

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Il ruolo del superboss durante la latitanza e l'accordo con gli 'ndranghetisti parmensi 

Il boss, nel periodo di latitanza, secondo gli inquirenti avrebbe tirato le fila di una vastissima rete di narcotraffico internazionale in grado di gestire carichi di stupefacente nell’ordine delle centinaia di chilogrammi al mese, in affari con i potentissimi cartelli Sudamericani (fra cui il Primeiro Comando da Capital brasiliano e organizzazioni criminali colombiane, peruviane, messicane e boliviane) e alcuni dei più noti e pericolosi latitanti italiani. 

Secondo quanto emerso dalle indagini, grazie all’incessante brokeraggio del boss, lo stupefacente, proveniente dai Paesi di produzione Sud-Americani,  giungeva nei porti dell’Europa settentrionale (in particolare Anversa e Rotterdam) per essere subito dopo distribuito in tutto il vecchio Continente. Il boss aveva affidato la gestione del mercato italiano ai promotori dell’associazione, soggetti calabresi da anni residenti nel Parmense e nel Reggiano che, avvalendosi di basi logistiche dislocate in varie regioni (Calabria, Lazio e Lombardia), di corrieri e di imprese compiacenti, erano in grado di occuparsi, con indiscussa professionalità e disinvoltura, dei traffici illeciti della Cosca in tutta la Penisola.

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Il ruolo dei cinesi per il riciclaggio del denaro 'sporco'

Un ruolo attivo e assolutamente prezioso nella sistematica opera di riciclaggio dei proventi illeciti del sodalizio criminale è stato ricoperto da una vera e propria rete di soggetti di nazionalità cinese attraverso il fei ch’ien (sistema “informale” di trasferimento di denaro). In particolare, dopo aver prelevato ingenti somme di contanti, i cittadini sinici provvedevano a inviarlo, attraverso una lunga catena di bonifici, ad aziende commerciali ubicate in Cina e Hong Kong. Queste ultime, attraverso articolati meccanismi di “compensazione”, erano in grado di recapitare il denaro ai broker del narcotraffico e agli stessi cartelli sudamericani attraverso “agenti” residenti all’estero. Dalle indagini è emerso che, grazie al meccanismo dei fei ch’ien, l’associazione è stata in grado di ripulire più di 5 milioni di euro; due “riciclatori” cinesi sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in
carcere.

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Il comandante regionale della finanza: "Le mafie non si fermano di fronte a nulla, nemmeno le alluvioni sono riuscite a bloccarle" 

“Le mafie non si fermano di fronte a nulla. Non si sono fatte intimorire dal Covid e nemmeno le alluvioni sono riuscite a bloccarle - ha detto ai cronisti il comandante regionale della Guardia di Finanza, Ivano Maccari  - mentre migliaia di volontari erano e sono impegnati nelle operazioni di soccorso, i criminali hanno continuato a contaminare il territorio tessendo la tela dei loro affari illeciti. Per loro il business e il profitto prevalgono su tutto e tutti. Con l’operazione odierna, incentrata su affiliati e contigui a note 'ndrine calabresi, abbiamo bonificato il territorio emiliano- romagnolo da 41 soggetti colpiti da altrettante misure cautelari personali, soggetti ai quali abbiamo sottratto, per restituirli alla società civile, beni per oltre 50 milioni di euro".

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