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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Parma si attrezza contro il virus: pazienti anziani curati nelle case protette ai primi sintomi

Il medico dell'Unità mobile multidisciplinare Antonio Nouvenne: "Portiamo l'ospedale da paziente, così aiutiamo i contagiati a guarire"

L’hanno definita emergenza nell’emergenza. Nell’emergenza sanitaria gli anziani rischiano più di tutti, sono potenziali vittime di una guerra che non risparmia nessuno, di un virus democratico che si abbatte e abbatte a ogni latitudine. "Mi lasci lassare passare un concetto, uno slogan: abbiamo portato l'ospedale ai pazienti, non viceversa". Antonio Nouvenne, medico dell'Ospedale di Parma, da giorni si porta dietro un ecografo multifunzione per andare a individuare precocemente i segni polmonari della patologia del coronavirus. A Parma Azienda Ospedaliero-Universitaria e Azienda Usl hanno sviluppato un progetto in cui equipe multidisciplinari entrano nelle strutture protette effettuando una valutazione clinica seguita da internisti, geriatri, infettivologi e una valutazione igienica e sanitaria, seguita dall’equipe del dipartimento di sanità pubblica. Antonio Nouvenne fa parte dell’equipe multidisciplinare. ‘Prestato’ alla taske force dall’Ospedale Maggiore, il medico ha raccontato la sua giornata tipo: fatica e speranza, il lato professionale e quello umano che inevitabilmente si intrecciano e diventano un’unica cosa. 

Nouvenne, come sta andando?
“Sta andando molto bene, abbiamo visitato più di 40 strutture per quasi 600 ospiti e possiamo dire che la situazione è abbastanza sotto controllo. La nostra attività è anche molto apprezzata dai medici delle strutture, siamo quattro specialisti per ogni malato e grazie anche ai controlli tecnologici siamo riusciti a portare l'ospedale anche nelle case di riposo”.

Che clima avete trovato?
“C'è grande consapevolezza del problema da parte degli operatori sanitari. Gli ospiti sono pazienti che spesso hanno problemi di deterioramento cognitivo, risulta anche complicato per gli operatori spiegare loro il perché di questa situazione e soprattutto giustificare la mancanza di vivere nelle aree comuni. E' evidente che il fatto di non avere la possibilità di fare da oltre un mese un altro tipo di vita può essere disturbante sia per i pazienti che per i familiari, oltre che per i sanitari che devono accudire. Ma sono state attivate delle procedure tecnologiche che permettono di mantenere vivi i contatti anche se a distanza”.

E per quanto riguarda i dispositivi di protezione?
“Ci sono. Noi facciamo una valutazione generale su come vengono utilizzate da parte degli operatori, non abbiamo trovato situazioni di criticità immediata e tale da mettere a repentaglio la sicurezza né di pazienti né di operatori”.

Eppure in questi giorni è stato sollevato il problema. Si può definire quella degli anziani un’emergenza nell’emergenza?
“Sì. E' questo un po' la parte centrale del discorso. La multidisciplinarità è fondamentale per trattare il problema relativo al Covid. La modificazione del problema epidemiologico ci ha portato a fare i conti con pazienti un tantino diversi dagli altri. Che spesso hanno a che fare con malattie croniche che possono essere facilmente riacutizzate. Ad esempio: se ho un anziano che è nel suo ambiente e gli faccio fare un percorso normale che farebbe un giovane rischio di recargli disagio. Ci pensi: è una situazione disagevole per il paziente che viene sballottato su e giù. Il giovane può essere portato in Pronto Soccorso, può aspettare il suo turno, può muoversi, essere ricoverato, rispedito a casa. Gli anziani no. Dobbiamo per questo portare l'ospedale dal paziente. E’ nata con quest'ottica la multidisciplinarità e ha il presupposto di curare il paziente dovunque sia. L'equipe multidisciplinare deve stabilire con decisione la traiettoria prognostica in modo da attuare gli interventi più appropriati per quel singolo paziente”.

Ci sono focolai a Parma?
“No, c’è un numero basso di contagiati e un numero alto di mortalità. Abbiamo visto un aumento della mortalità rispetto all'anno scorso, è chiaro, nei numeri. Ma i decessi nelle case protette non sono stati così abbondanti. Il nostro obiettivo è quello evitare le morti evitabili. Abbiamo visitato un bel po' di centri, abbiamo affrontato capillarmente tutti i distretti della città di Parma, di Fidenza, siamo stati nelle valli di Taro e Ceno. In maniera complessiva la situazione non è risultata critica in nessuna delle parti. Non abbiamo trovato casi pericolosi, solo situazioni molto differenziati; è evidente che l'architettura delle strutture non sia uguale”.

Come è formata la vostra equipe. 
“L'equipe che parte dall'Ospedale ha un’ internista geriatrico, un ecografista, pneumologi e infettivologi, medici o specializzandi di emergenza urgenza, medici o specializzandi anestesisti e rianimatori dei nostri servizi che si confrontano con il medico della struttura perché è colui che più conosce la ‘storia’ del paziente. Loro conoscono percorsi e sintomi, terapie pregresse e stati d’animo oltre che lo stato completo di salute”.

Qual è il vostro lavoro sul campo?
“Procediamo con un gruppo che valuta in maniera strumentale l'ecografia del polmone. Per vedere se ci sono complicanze. Un medico analizza la cartella del paziente, lo storico di sintomi e patologie regresse, si discute singolarmente di tutti i malati e si mettono insieme le varie informazioni, prima di decidere chiaramente la terapia. Poi si decide il setting. Mi spiego: se la cura può essere somministrata in struttura, in Ospedale o in quale reparto specifico di esso. Se c'è da ricoverare il paziente in Ospedale ci rechiamo nella struttura ospedaliera senza passare dal pronto soccorso. A seconda dei sintomi e delle risposte, a distanza di una settimana o dieci giorni, ci si aggiorna. Lavoriamo con gradualità”.

Come rispondono gli ospiti?
“Me lo lasci dire; gli anziani hanno la tendenza sempre al racconto, loro hanno la dimensione del racconto al contrario dei giovani che sono più ‘immediati’ e procedono attraverso immagini e video. Chiedono cosa ci facciamo in quel posto, perché siamo vicino a loro, vogliono sapere la nostra storia. Molte strutture hanno messo a disposizione stanze ricche di fotografie e racconti, dove gli anziani ti portano per farti  vedere i familiari oppure loro da giovani. Si compiacciono del figlio che ha studiato e che ora è all’estero, di quello che non vedono per la situazione attuale. C’è un aspetto di questo racconto che mi ha segnato.  Quando i casi  sono più seri, nonostante l'insufficienza respiratoria, gli anziani mantengono una lucidità impressionante. E’ la loro forza di rimanere aggrappati al presente”. Alla vita.

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