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Amarcord Siligardi: "Eravamo una vera famiglia. Pecchia? Un top, ma al Parma da anni qualcosa non va"

L'ex attaccante crociato ha vinto un campionato di Serie B all'Hellas Verona proprio con Fabio in panchina: "Ti entra nella testa, tira fuori il meglio da ognuno. Ma il club, a vedere i risultati, ha scelto una strategia che non paga"

Luca Siligardi da Parma ci è passato due volte: la prima (stagione 2004/2005) quando aveva 16 anni e sognava di fare il calciatore. Veniva dalla Dorando Pietri, squadra modenese di provincia che lo avrebbe avviato verso una carriera niente male. La seconda: quando di anni ne aveva quasi 30 (stagione 2017/2018) giusto in tempo per lasciare il segno portando con se un bagaglio di conoscenze più grande, arricchito dai gol, dagli assist e dalle vittorie. Un altro calcio: oggi, a 30 anni, un calciatore (soprattutto da queste parti) viene considerato con troppa facilità un 'vecchio' che stride con i parametri dell'area Analytics and Performance. Un atleta la cui curva comincia a scendere più o meno vorticosamente. Altri dicono che a 30 anni si è nel pieno della maturità. La verità sta in mezzo. Di certo l'età giusta per vincere non c'è. Prima di trionfare anche a Parma, Siligardi aveva già vinto a Verona da protagonista, nel 2017. Con Fabio Pecchia in panchina. 

Siligardi, che idea si è fatto di questi nuovi parametri applicati al calcio?

"Se i risultati sono questi, la mia idea non può certo essere positiva. Credo che il calcio sia ancora molto semplice. Perché complicarlo in questo modo? Mi sembra una follia". 

Si spieghi meglio.

"Se ci riferiamo al Parma, dico che ci sono squadre che hanno vinto senza spendere i soldi che ha speso il Parma. Guardando i risultati credo che la strada imboccata non stia portando verso la direzione giusta. Io ho vissuto solo pochi mesi con la proprietà americana poi, seguendo il Parma che comunque mi è rimasto nel cuore, ho visto una retrocessione e un campionato anonimo di Serie B. Vuol dire che qualcosa non va". 

Perché è andato via?

"Perché altrimenti mi avrebbero messo fuori lista. Ma, con il senno di poi, sarei potuto rimanere perché avrei giocato. Io ho accettato con serenità la decisione, ci mancherebbe. Nella mia carriera ho sempre rispettato le scelte di allenatori e società. Il Parma, con il passaggio di proprietà del settembre 2020, aveva in mente di andare avanti solo con Inglese e Karamoh, per i quali era stato fatto un grosso investimento economico. Gli altri legati alla vecchia gestione non facevano parte dei piani del nuovo corso. Mi avevano detto che sarebbero arrivati giocatori da Serie A, che avrebbero saputo fare la differenza nella massima categoria. Ma sono gli stessi che invece stanno trovando difficoltà a fare la Serie B". 

Lei conosce bene l'allenatore attuale. Fabio Pecchia è arrivato con l'etichetta di vincente, ma sta avendo delle difficoltà: perché?

"Secondo me Fabio Pecchia è un allenatore straordinario. Credo che non sia lui il problema. Da due anni il mercato sta andando verso una determinata direzione. La società ha scelto profili che faticano ad allinearsi con le dinamiche della Serie B. È stata adottata una strategia che non sta pagando, se guardi i risultati".

E cosa servirebbe?

"Bella domanda. Se vuoi vincere un campionato di Serie B devi prendere i giocatori che hanno vinto o che conoscano la categoria. L'ultima volta che il Parma ha vinto il campionato aveva gente che in Serie B aveva esperienza, gol e vittorie. Avevi Calaiò, Munari, Lucarelli. Ok, non erano giovani ma avevano tanta esperienza: avevano vinto i campionati. Il direttore Faggiano era stato bravo poi a mettere nel gruppo gente come Gagliolo, Di Gaudio, Scozzarella, Siligardi, Barillà, Gazzola, Ciciretti. Tutti calciatori che hanno vinto almeno una volta il campionato di Serie B. Magari all'estero i calciatori costano di meno, ma non conoscono le dinamiche".

Lei crede che Pecchia stia avendo difficoltà per questo motivo?

"Credo che stia facendo fatica perché non ha calciatori adatti alla sua filosofia. Al di là di Vazquez e Buffon, chi ha il carisma giusto per lottare in Serie B?". 

Eppure, dopo i successi di Verona e Cremona c'era un'aspettativa altissima sul suo Parma.

"A Verona eravamo un’ottima squadra, la società aveva mantenuto tanti reduci dell'ultima Serie A. C'era un’ossatura importante. Avevamo tanti giocatori italiani che conoscevano il campionato. Pecchia aveva dato delle idee molto buone e ci faceva giocare a calcio. Quell’anno lì siamo stati bravi: sia lui che noi. Ma il mister ha fatto un ottimo lavoro anche a Cremona: ha rischiato di andare ai playoff al primo anno, poi l’anno dopo ha creato una squadra forte che ha vinto il campionato. Per quanto mi riguarda, Pecchia è un grandissimo conoscitore di calcio, è uno che può vincere i campionati. È bravo a entrare nella testa dei calciatori. Ma deve avere la possibilità di dare alla squadra la sua impronta partendo dal mercato e penso che il Parma, al momento, faccia un ragionamento diverso". 

C'è un aneddoto che la lega al mister?

"Sì. Quando dico che entra nella testa dei calciatori penso a quando non mi ha convocato per la partita contro il Frosinone. Ho capito solo dopo che voleva spronarmi, farmi rendere al massimo perché credeva in me. E ha avuto ragione perché mi ha dato carica e voglia. Da quell'esclusione in poi ho fatto bene fino alla fine. Mi ha fatto arrabbiare come una iena ma ha avuto ragione perché è riuscito a tirare fuori il meglio da me. Lui capisce i calciatori. Per me è un allenatore top". 

Sta facendo fatica con Roberto Inglese che non riesce a rendere. Perché?

"Che peccato. Mi spiace per Roberto. Negli anni si è creata questa situazione che ancora oggi non riesce a risolvere. Lo conosco abbastanza bene da poter dire che è un giocatore fuori categoria, ma viste le difficoltà la soluzione migliore per lui sarebbe quella di cambiare aria e ricominciare da un nuovo progetto. Dipende anche da quelli che sono i suoi stimoli. Quando arrivi al punto in cui è arrivato Inglese, è meglio cambiare". 

Se le dico Parma cosa le viene in mente?

"Solo cose belle. È stato bello l'anno della Serie B, è stato emozionante rimanere in Serie A. Dopo la straordinaria promozione siamo arrivati in Serie A con una squadra attrezzata alla quale si erano aggiunti gente come Inglese appunto, Bruno Alves, Gervinho. Tutti giocatori importanti. A Parma eravamo riusciti a creare un gruppo fantastico, che condivideva anche l'aspetto extra campo: Scavone, Di Cesare, Munari, Iacoponi, Calaiò, io. In quell’anno si era creata un'unità di intenti particolare. Eravamo davvero una grande famiglia. So che spesso si abusa di questo termine ma noi ci siamo trovati alla grande dal primo momento. Basta pensare che ancora oggi ci sentiamo. E fa piacere. Abbiamo saputo creare un legame importante". 

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