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LA STORIA

L'idolo Bastía, il calcetto e il sogno dell'Italia: così 'Nagu' Estevez si è preso il Parma

Segna poco ma si sente tantissimo in campo. Senza il calcio sarebbe diventato professore di ginnastica, ma l'amore per il Racing lo ha spinto a realizzare il suo sogno

Lo aveva promesso a suo padre, il signor Juan: "Un giorno diventerò calciatore e giocherò come El Polaco". Glielo diceva con la sua mano che quasi si perdeva in quella sicura del papà. Nell'altra, Nahuel, stringeva la camiseta bianca e azzurra del Racing de Avellaneda mentre tornava a casa. Non c'era il numero, lo aveva disegnato il piccolo Estevez con un pennarello. Sotto all'autografo di Adrían Bastía, detto appunto El Polaco. Capelli raccolti dietro, sguardo cattivo che incuteva timore ai dirimpettai. Bastía era diventato l'idolo di Estevez per il modo in cui lottava e governava la mediana. Il piccolo Nahuel, sei anni, lo aveva eletto ormai a modello. Non c'era ancora Messi (che lo sarebbe diventato dopo) e Maradona è sempre stato un'entità a parte al quale nessuno osava paragonarsi ma che tutti guardavano con rispetto e venerazione. Compreso Nahuel che quel giorno, dopo la vittoria del campionato del Racing, era venuto via dalla festa con le idee chiare. Lo aveva detto anche ai suoi amici con i quali ha sempre giocato a calcio a cinque, prima di esordire nei campi veri a Bueno Aires. Ha cominciato così, Estevez, nel Club de Fatima: due tocchi, giocate di posizione e palla sull'attaccante. È li, a quattro passi dalla casa di famiglia, nel comune di Lomas de Mirador, che ha cominciato a rincorrere il pallone. Niente Piano B, solo il calcio come ragione di vita e la scuola superiore. Poi l'esperienza all'istituto di Gimnasia Fisica. Una mezza idea di fare il professore di ginnastica svanita dietro ai sogni realizzati di fare il calciatore. Il signor Juan lavorava duro in un'officina meccanica, la mamma, Claudia, una casalinga vecchio stile, si occupava di portare avanti la famiglia ed educare Nahuel. A Lomas, in un quartiere popolare dove gli immigrati (italiani e spagnoli) si sono mischiati con gli argentini, gli Estevez conducevano una vita tranquilla, cucinavano asado e tifavano Racing. Era lo svago. 

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Oggi tifano anche Parma, dove il loro 'Nagu' sta facendo tante cose belle. Colonna dei crociati, venti presenze tra campionato e Coppa Italia, già due gol all'attivo quest'anno. Il doppio rispetto a quelli segnati l'anno scorso. Prima di vestire la maglia del Parma, Estevez non aveva mai trovato la rete in Italia. Sotto la guida di Fabio Pecchia è arrivato già a quota tre. Ma non è questo il dato che spiega l'essenzialità di Nahuel: lui si vede quando non c'è. È in quella circostanza che si capisce l'importanza del giocatore con la maglia numero otto. Equilibratore, equilibrista, ago della bilancia, fa della visione di gioco e della tattica le sue armi migliori. Da schermo davanti alla difesa, sporca le linee di passaggio e ripulisce diverse quantità di palloni. Nell'ultima gara è stato decisivo. Oltre che con un gol alla 'Veron' (palla a rimorchio e piatto chirurgico simile a quello con il quale la Brujita trafisse Chimenti in un Juventus-Inter di Supercoppa) ha vinto sette duelli contro la Samp, sei palloni recuperati e tante altre cose buone. Tra le sue doti ci sono intelligenza calcistica e corsa. Robe che ha permesso a Nagu di arrivare a La Plata, sponda Estudiantes. Qui il primo contatto con il Parma, con quel Juan Sebastian Veron che lo ha voluto a tutti i costi quando era presidente e gli ha trasmesso cosa significhi lavorare per il Parma. Già qui covava il sogno di approdare in Serie A. L'Italia nella testa, la domenica in Tv, gli altri giorni sui campetti polverosi di Lomas. Con la maglia di Bastía. E il sogno di diventare calciatore. Lo aveva promesso al suo padre. 

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