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Parma, cammino segnato: dietro le quinte di una stagione nata male

Gli errori del Parma che hanno condizionato la lotta salvezza dei crociati e quello di D'Aversa: non aver saputo trasferire alla squadra lo spirito combattivo

Lo schiaffo che ha mandato il Parma tremante di paura ko l’ha dato Alberto Cerri, entrato per ultimo nel saloon dell’area di rigore crociata, presa d’assedio come se non ci fosse un domani da palloni lanciati in alto, come preghiere, in attesa che venissero raccolte da Pavoletti e compagni. Il conto alla fine lo ha pagato il Parma, uscito a brandelli dalla lotta più difficile, che tatticamente ha governato per 91’, salvo cadere sotto i ganci neanche sferzati con convinzione di un Cagliari che ringrazia e porta a casa.

Appesi solo alla matematica, o alle preghiere, il Parma ha l’obbligo di rimettere insieme le idee, e di provare a chiudere con grande professionalità il campionato, onorando gli impegni che ci sono da qui alla fine, a cominciare dalla Juventus. Lo deve ai tifosi, che a lungo hanno mangiato delusioni, gli stessi che hanno esposto a Collecchio uno striscione con scritto ‘Vergogna’, un messaggio chiaro che testimonia il loro comprensibile stato d’animo. Lo deve a Kyle Krause, esuberante e positivo, inesperto – al netto degli errori che ha commesso in fase di mercato – ma passionale, solido. Zelante. Ad esempio, ha pagato in netto anticipo rispetto alle scadenze federali tre mensilità di stipendi a una squadra che non sta rendendo.

E che sta compiendo l’impresa al contrario: retrocedere. Deve farlo con onore. Il Parma è arrivato a questo punto dopo una serie di errori grossolani, quello di Cagliari è solamente l’ultimo atto di una tragedia sportiva che si è consumata da agosto in avanti, a causa di scelte non del tutto convincente. Il gruppo storico, logoro, è quello che dovrebbe sentire più suo questo fallimento sportivo. La lunga serie di infortuni, con in più la novità di quest’anno (il Covid) ha minato le certezze – poche – di calciatori forse arrivati alla fine di un ciclo e messi alla porta troppo presto dalla società, con l’obiettivo nobile di ringiovanire una rosa non all'altezza, stanca, appassita. Che neppure il ritorno di Roberto D’Aversa ha saputo rinvigorire. Il tecnico del miracolo si sente responsabile di questa retrocessione non ancora matematica, che forse ha meritato (8 punti in 15 partite) ma che è arrivato a giocarsi con calciatori falcidiati da infortuni, recuperati e poi persi per un paio di settimane dopo un allenamento, consegnati da uno staff medico non del tutto esente da colpe.

Pensava di ritrovare il suo gruppo, quello disposto a buttarsi nel fuoco per lui, ma i tempi cambiano nel calcio. Le mode passano, resta il risultato. E quello del Parma è deludente, così come quello offerto dai suoi calciatori, attanagliati da paure e tesi a tal punto da girarsi in panchina per chiedere il cambio. Arrivare a questo punto della stagione, andare in guerra con un esercito dimezzato (Kucka è l’ultimo dei soldati ‘caduti’ in battaglia, Grassi non è mai stato al 100%, Hernani rientra ma ce la farà per lo Stadium? Gervinho finito in un tunnel del quale non si vede la luce) sarebbe difficile per chiunque. Ma il tarlo più grande di D’Aversa, che poi è anche la ‘colpa’ principale, è quello di non essere riuscito a infondere nei suoi, la mentalità per battagliare, il senso di appartenenza e il suo agonismo, il suo carattere. Un tarlo che lo sta logorando. I confronti con la squadra, ultimo quello di stamattina con Krause che ha ribadito la speranza a un gruppo ‘stroncato’ dal risultato di Cagliari, prima di introdurre Javier Ribalta, che si è presentato alla squadra. Una chiacchierata conoscitiva, per le valutazioni ci sarà tempo.  

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